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28 set 2016

Il campo minato per il nuovo Statuto

di Luciano Caveri

Chissà che fine esatta ha fatto la "Commissione tecnica per la revisione degli Statuti Speciali e delle relative norme di attuazione" (membro valdostano il professor Robert Louvin), nata ormai più di un anno fa su iniziativa del Governo Renzi. E' possibile che il lavoro in corso sia molto fruttuoso, ma devo dire di averne trovato pochi cenni ufficiali, cercando notizie sul Web. Forse, malgrado la posta in gioco di cui sarebbe bene conoscere gli sviluppi, le carte girano solo a certi livelli elevati. Questa invenzione della Commissione è da ascrivere al sottosegretario agli affari regionali Gianclaudio Bressa - bellunese con collegio a Bolzano - che aveva deciso la nascita di questo tavolo romano con l'obiettivo di «sancire definitivamente il meccanismo pattizio, definendone le procedure applicative, per la revisione degli Statuti speciali».

Si trattava in sostanza di vedere fra tutte le autonomie differenziate - anche se stupisce che la regia fosse nelle mani del Governo, che amico non è - come mettersi d'accordo sul da farsi in vista delle ricadute della riforma costituzionale all'epoca in piena discussione parlamentare. Si è trattato di una modalità eccentrica, pensando appunto che il dibattito era ancora in progress, ma soprattutto che si è messo il carro davanti ai buoi, anche se si sa che una Commissione non si nega mai a nessuno. Anche se il termine "tecnico" in una questione così politica andrebbe presa con le pinze, specie nello scenario desolante verso il regionalismo come lo stesso Matteo Renzi ha proclamato senza peli sulla lingua in una visione molto molto centralista. Per molto meno Silvio Berlusconi è stato, in passato, lapidato dalle Regioni. Io resto convinto che - anche con un'auspicabile Commissione a maggior tasso politico - si sarebbe dovuto attendere almeno il voto definito sulla legge costituzionale Boschi-Renzi e forse, visto che la legge era ancora in itinere nella "navetta" fra Camera e Senato, il suggerimento principale di questo organismo tecnico si sarebbe potuto concretizzare in una scrittura migliore della famosa norma transitoria della riforma stessa. Ricordo il testo, che fa parte del pacchetto del referendum confermativo: "Le disposizioni di cui al capo IV della presente legge costituzionale non si applicano alle Regioni a Statuto speciale e alle Province autonome di Trento e di Bolzano fino alla revisione dei rispettivi Statuti sulla base di intese con le medesime Regioni e Province autonome". Il termine finale "revisione" è meglio del letale termine precedente usato, che era "adeguamento". Ma a parte il fatto che le intese appaiono una tantum e cioè valide in una prima fase, mentre prima si auspicava che fosse incardinato nell'articolo 116 come garanzia perenne del principio pattizio, quel che resta misterioso è come queste e con chi queste intese dovrebbero essere concretizzate. Andrebbero cioè definite le procedure e sarebbe bene saperlo per tempo. Se ho ben letto proprio l'ambigua Commissione tecnica - ma così mi sembra possa essere anche dalle parole di ieri del presidente Augusto Rollandin, pronunciate in Consiglio Valle sulla questione su richiesta del consigliere Alberto Bertin - parlerebbe di una norma costituzionale da approvare, se vincesse il "sì", prima di presentare a Roma i nuovi Statuti. Ma il Parlamento, con la Costituzione novellata, ci starebbe a una scelta pro Speciali o sarebbe le scelte vessatorie sarebbero la prima tegola sulla testa per noi nel nome di una normalizzazione al ribasso del regionalismo? Temo andrebbe così e dunque diffidare di chi dice di "stare sereni" e la vicenda non è affatto da prendere sottogamba. Infatti, mentre con la riforma del 2001, il clima era diverso in una logica del sviluppo del regionalismo, per cui si poteva scrivere "sino all'adeguamento dei rispettivi Statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a Statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite", oggi nel tramonto del regionalismo italiano sperare in un'alba radiosa del regionalismo differenziato è abbastanza da creduloni da pacche sulle spalle. Un brutto pasticcio: meglio azzerare tutto con un "no". Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio. Sapendo che la battaglia non è solo un elegante confronto fra tesi giuridiche, ma un campo minato da affrontare con le armi della politica.