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19 set 2016

L'immigrazione, problema nodale

di Luciano Caveri

Il giovane somalo che ha accoltellato negli Stati Uniti un certo numero di persone in un centro commerciale era - come si definiscono - un soldato islamista: esiste un protocollo dell'Isis di rivendicazione degli atti che offre una certa sicurezza sulla corrispondenza con la realtà. D'altra parte abbiamo visto che lo Stato islamico adopera con grande destrezza le nuove tecnologie sia per i collegamenti fra adepti nei diversi Paesi, sia per l'azione di proselitismo e propaganda sino ai terribili filmati, pregni di retorica guerresca, con cui esaltano le proprie azioni, come avviene con quelle terribili esecuzioni di persone assassinati con una ferocia senza uguali (con bambini killer) all'epoca di Internet. Se mettete assieme le azioni svolte da singoli, come in questi casi, o da gruppi di estremisti è facile verificare come l'elenco sia ormai molto lungo e sono pochi ad essere sinora stati risparmiati e il caso dell'Italia - a riparo per adesso e naturalmente per fortuna - da fatti di sangue particolarmente eclatanti incomincia a creare qualche sospetto sulla logica occulta di qualche "do ut des", denunciato da editorialisti di grido. Spero si tratti solo di una capacità dell'Intelligence e dalla considerazione di una certa marginalità dell'Italia nei processi decisionali più importanti e non appunto di qualche patto luciferino, che sarebbe non nuovo nella storia italiana, che poi prima o poi emergerebbe perché le bugie hanno le gambe corte.

Quel che colpisce appunto di molti casi, negli Stati Uniti, in Francia, nel Regno Unito, in Canada e in altri Paesi sta nel fatto che sono sempre più numerosi i casi di giovani apparentemente integrati nelle società d'accoglienza, spesso già nati lì, che invece seguono un percorso - spesso così occulto da non essere scoperto - che li porta a diventare degli orrendi assassini nel nome di un integralismo religioso pieno di furore. Pensiamo appunto al somalo, che fa parte di un gruppo consistente di persone messe in salvo negli Stati Uniti per sfuggire ai fatti terribili della Somalia e quanto avvenuto dimostra, tra le molte cose, un'ingratitudine difficile da capire. Questa è una componente che inquieta ed è una delle varie ragioni che stanno facendo crescere un senso di smarrimento nell'opinione pubblica occidentale, compresa la parte più illuminata, di fronte al rischio di allevare nel proprio seno delle vere e proprie serpi pronte a colpire. Conosco bene alcune ragioni giustificazioniste: troppo spesso gli immigrati - lo si segnala ad esempio per il Belgio, forse il più esposto in Europa - vivono in condizioni di emarginazione in Paesi che hanno sulla coscienza le vicende coloniali. Ma poi, ad esempio per chi ha come me vissuto a Bruxelles, le storie vengono raccontate diversamente: ci sono troppi casi di persone che vivevano in assoluta normalità che hanno svoltato verso l'esaltazione ideologica della loro religione trasformata in macchina di morte. Ora in Francia tentano, in una sorta di terapia di riabilitazione, di riportare alla ragione tutti quei giovani seconda o terza generazione che si sono fatti attirare dalle sirene di una vita da terrorista. Immagino che sia un percorso difficile, ma da provare perché non può essere solo la repressione l'arma da coltivare, ma esiste un lavoro di prevenzione sociale che deve puntare su valori e idee per sradicare il fascino che certe ideologie estremistiche possono avere sotto diverse forme. La Storia europea, anche quella contemporanea, è piena di casi di indottrinamento e dunque non bisogna stupirsene, perché l'islamismo radicale è solo una categoria fra le tante che turba per l'estensione virale. Farà strano, ma è così: una parte significativa dell'Europa di domani passa attraverso la condivisione, che per ora non c'è, di una politica condivisa e solidale sui flussi migratori. Senza illudersi che l'accoglienza sia infinita e passando al pettine fine quelli che arrivano e chiedono asilo, sapendo che una gestione seria prevede anche la necessità di espulsione. La soluzione non può essere quella di svuotare i Paesi di partenza. Capisco che quando si invocano scelte forti nei Paesi del Terzo Mondo per bloccare le emorragie di abitanti, spesso i migliori, si finisce nel rischio peloso dell'ipocrisia. Ma non capisco bene - fatto salvo che le porte per i perseguitati dovranno essere aperte - dove potrebbe portare una logica di apertura senza paletti e filtri. Se non dare armi e ragioni a movimenti razzisti e xenofobi, che potrebbero - come stanno già facendo - approfittare della situazione e delle paure con svolte politiche come baratri. In attesa di capire come saranno le cose, Matteo Renzi fa una bella "cabina di regia" a Palazzo Chigi...