150 anni di CAI Aosta e la montagna
Mi è capitato spesso di riflettere sul rapporto che i valdostani hanno con le proprie montagne quale habitat naturale in cui vivono. Nel tempo - per ragioni economiche, sociali ed anche climatiche - molte zone abitate tutto l'anno di alta e di media montagna non lo sono più state e ha agito fortemente nello spopolamento, in certi casi diventato abbandono, l'attrazione dei paesi del fondovalle e in particolare l'urbanesimo verso la città di Aosta, estesosi poi ai paesi viciniori per la sempre maggior facilità di spostamento.
Se la montagna, nella sua accezione altimetrica più elevata, ha smesso di essere così fortemente abitata come in passato, va detto che esiste in parallelo tutta una storia nuova, che ha fatto della montagna terreno di svago e di attività sportiva, anche a beneficio della popolazione locale e non solo del turismo.
Così l'alpinismo, nella sua accezione più vasta, non solo per capirci comprensiva delle più difficili scalate in parete, ma anche di frequentazione di sentieri, è stato nel tempo un punto di riferimento a fianco alle profonde modifiche demografiche e geografiche dei residenti sul territorio.
Esattamente 150 anni fa di questi giorni si sviluppò quel movimento, prima di tutto culturale e di costume, che portò alla nascita ad Aosta la della succursale del "Club Alpino Italiano".
Racconta il sito sulla storia valdostana (storiavda.it): "Seconda sezione in Italia, dopo quella di Varallo Sesia, è voluta e animata dal canonico Georges Carrel. La presidenza onoraria è attribuita all'alpinista e giornalista inglese Richard Henry Budden. Secondo il progetto originario, doveva trattarsi di una stanza dove il "Club alpino torinese" potesse depositare qualche libro, carta e strumenti per le escursioni. Nella sede, in cima alla grande scala del Municipio di Aosta, i visitatori potevano trovare una piccola biblioteca, guide, panorami e foto di montagna, una collezione di animali, piante, rocce e minerali, cimeli di grandi ascensioni, come la scala usata da Edward Whymper sul Cervino, ed un grande plastico in rilievo della Valle d'Aosta, donato dal canonico Pierre-Louis Vescoz.
Due anni dopo un "Cabinet de lecture" è inaugurato nella sala del "CAI". Promosso dal giornalista e alpinista inglese Richard Henry Budden, direttore onorario, e denominato anche "Cercle littéraire d'Aoste", è posto sotto la vigilanza della municipalità ed ha un direttore effettivo, un bibliotecario e un segretario. Oltre al materiale della sezione aostana del "CAI", accoglie la biblioteca che il canonico Félix Orsières aveva legato all'amministrazione cittadina e si impegna ad acquistare nuove opere e ad abbonarsi a riviste varie. In base al regolamento, il circolo letterario deve rimanere estraneo a ogni questione politica e religiosa; per diventarne membri è necessario il parere vincolante dell'assemblea generale e il pagamento di una quota trimestrale; nella sala di lettura è fatto divieto di parlare e di fumare".
Più avanti si legge di come la ramificazione diventi territoriale e di occupazione femminile sia delle terre più alte, oltre gli alpeggi sommitali: "Intanto, in montagna, gli alpinisti potevano incominciare a trovare i primi rifugi. In particolare si deve all'iniziativa del "CAI" di Aosta e di Torino la costruzione della "capanna Carrel" sul Grand Tournalin (1876), del "pavillon Budden" sulla becca di Nona (1877), della "capanna della Gran Torre" al Cervino (1882), della "capanna Regina Margherita" sul Fallère (1884), del "pavillon De Saussure" sul Monte Crammont (1889), della "capanna Defey" al colle del Rutor (1889) e delle prime tre capanne, all'Aiguille du Midi, al colle del Gigante, e all'Aiguille Grise, che avviavano la creazione di un sistema di rifugi nel gruppo del Monte Bianco".
Va aggiunto che questa associazione raccoglie al tempo il meglio della cultura valdostana ed attira in Valle visitatori titolati e competenti. Si tratta null'altro che di un esempio di come, piano piano, la montagna non sia più solo lo scenario della vita quotidiana, ma si tinga di tutti quei significati che il "Club Alpino" incarna all'epoca, anche in quel risvolto internazionale dai caratteri elitari che si afferma in modo ben più forte di quanto ormai accada oggi.
Nei decenni successivi, pure con l'affermarsi dello sci, la montagna diventa assolutamente centrale e non solo più in una visione tradizionale, ma anche appunto - nel solco scientifico e sportivo già settecentesco - aperto ad una visione di massa di luogo naturale fonte di una filosofia salutistica e ludica, che diventa poi nel tempo sempre più - con le ferie pagate - terreno di vacanze e infine si tinge di colori ambientalisti sul crinale conservazione e sviluppo.
Oggi mi pare che sia difficile dire che cosa sia esattamente il "Club alpino Italiano", malgrado resti un'organizzazione di massa, ma soprattutto sfugge il rapporto con la montagna dei valdostani. Sono in tanti a considerare le montagne come elemento importante nella propria vita, specie nel tempo libero, ma sono anche molti - specie fra i giovani un tempo "avviati" alla montagna - che finiscono per considerarla come un paesaggio in alto e non come un luogo da vivere con intensità. Ma sono impressioni: ci vorrebbero analisi scientifiche dei comportamenti e delle tendenze, utili certo per capire la mentalità attuale e di prospettiva.
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