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16 ago 2016

Il mistero di Flocon de neige

di Luciano Caveri

Era l'estate del del 2007: con mia figlia Eugénie che aveva dieci anni (che adesso ha appena preso la Maturità, maledetto tempo che passa...) e assieme a Forestali regionali andammo a cercare - anche a beneficio delle immagini televisiva che vennero girate - il raro stambecco bianco, avvistato nella vallone delle Laures nel Comune di Brissogne un anno prima. Ricorderete che era stato battezzato come "Blantset" o "Flocon de neige". Era un cucciolo con la sua mamma, del tutto inconsapevole del suo albinismo, che gli consentiva comunque - a dispetto del suo manto bianco e delle altre caratteristiche morfologiche - di vivere sereno, oltretutto accettato dai suoi simili e dunque pienamente integrato nel branco, mentre si temeva potesse manifestarsi un rischio di isolamento.

Marcel Couturier, nel suo testo monumentale su "Le Bouquetin des Alpes" del 1962, scriveva: «Les aberrations dans le coloris du pelage semblent extrêmement rares chez le Bouquetin des Alpes. Je n'en ai relevé aucun cas dans la littérature scientifique ou cynégétique. Personnellement je n'en ai jamais observé. J'ai questionné 58 gardes du Parc National du Grand Paradis pour savoir s'ils avaient eu l'occasion de voir des bouquetins entièrement ou partiellement blancs... Voici ce qu'ils m'ont signalé: un mâle de sept à huit ans entièrement blanc;... un mâle adulte blanc à toute époque de l'année...». Insomma: il nostro stambecchino aveva tutte le caratteristiche per diventare una vera e propria attrazione e gli stessi cacciatori dei due versanti dove si aggirava - Brissogne e Cogne - avevano garantito, assieme al Corpo forestale valdostano, una tutela occhiuta dell'animale, che negli anni successivi era stato più volte avvistato. Proprio in questa estate 2016 si è avuta invece conferma della sua sparizione: nessuno lo ha più visto e per questo ci sono varie ipotesi. La migliore è che sia in un posto difficile da raggiungere e che sfugga ai binocoli di chi lo cerca, destinato a rispuntare prima o poi. La peggiore, invece, è che qualcuno - si dice un fantomatico appassionato svizzero di trofei di animali - abbia ordinato la cattura e l'uccisione dell'animale in cambio di denaro sonante. Personalmente non credo che l'avidità umana possa spingersi sino a lì, oltretutto nel leggendario della montagna un gesto di questo genere sembrerebbe destinare chi lo compiesse a ritrovarsi sul groppone una sorta di ferale maledizione. Forse, terza ipotesi, potrebbe essere finito vittima di una valanga in un anno in cui l'innevamento in quota è durato molto tempo. Per altro va ricordato che, proprio grazie alla Valle d’Aosta, lo stambecco evitò - come a molti animali è capitato nel tempo - di estinguersi, malgrado la sua storia fosse antichissima. Ha efficacemente riassunto i fatti Luca Bettosini, sulla rivista svizzera "Vivere la montagna": «Le prime testimonianze della presenza di questo ungulato risalgono, infatti, a 100.000 anni fa, quando gli uomini del neolitico lo ritraevano nei graffiti rupestri. Una fra le rappresentazioni meglio conservate è quella della grotta di Lascaux in Francia.
 Stando a quanto vi è disegnato e secondo i ritrovamenti fossili, lo stambecco abitava tutte le zone rocciose dell'Europa centrale e doveva essere piuttosto comune.
 La sua lentezza e la competizione con gli animali da allevamento l'aveva reso oggetto di caccia intensa sin da allora. Il prelievo già forte, fu ulteriormente accelerato nel medioevo dalla superstiziosa "scienza" medica del tempo, che lo considerava un portentoso rimedio a molte delle peggiori malattie. Il loro sacrificio non ha mai salvato nessuno, se non forse dalla fame, ma gli stambecchi hanno continuato a morire, ben oltre il limite della sostenibilità.
 Il risultato fu che alla fine del XV secolo, le popolazioni residue restavano confinate al solo arco alpino, protette da un ambiente ancora proibitivo per l'uomo e le sue armi.
 A questo punto arrivò quello che ha rischiato di essere il colpo di grazia: le armi da fuoco. 
La possibilità di colpire a grande distanza e la sempre maggiore precisione dei fucili, diventava un vantaggio sproporzionato, nei confronti di un animale lento, che aveva come unica difesa la fuga su percorsi impervi. Superstizioni mediche e prelievo indiscriminato durarono fino al XIX secolo. Quando ormai lo stambecco resisteva solo in Val d'Aosta, e in un numero esiguo di esemplari.
 L'unica popolazione che riuscì a sopravvivere, infatti, si trovava nella regione del Gran Paradiso, antica riserva di caccia dei futuri regnanti italiani, i Savoia.
 Questi, notando la progressiva riduzione delle catture, imposero una drastica protezione della specie già a partire dal 1821. Il "piano di salvataggio" vero e proprio si deve a Vittorio Emanuele II di Savoia. Egli nel 1856 decretò il divieto assoluto di caccia, cattura ed "esportazione" in ciò che sarebbe diventato il nucleo primordiale del futuro parco: la sua personale riserva di caccia in Valsavarenche, appunto in Val d'Aosta. 
Qui gli stambecchi furono letteralmente sorvegliati e difesi dai guardaparco reali.
 Non solo, si costruì una fitta rete di sentieri e strade carrozzabili di caccia, che ancora oggi sono l'ossatura della viabilità escursionistica e funzionale del parco e che allora agevolarono moltissimo l'attività delle guardie. Da riserva venatoria, divenne Parco naturale nel 1922, grazie alla donazione del re Vittorio Emanuele III, nipote del fondatore, che donò al nuovo Stato italiano l'intera riserva, dietro la promessa di renderla un'area naturalistica protetta». Insomma, quando oggi vi capita di vedere fuori dalla Valle d'Aosta uno stambecco sappiate che le sue origini restano indubitabilmente valdostane.