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05 ago 2016

Consiglio Valle: le regole della democrazia

di Luciano Caveri

Immagino che si potrebbe a lungo disquisire, con logiche da legulei fra cavilli e codicilli o con appelli alla logica politica legittimata a compiere qualunque acrobazia, ma la sostanza è che l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Valle d'Aosta è in mano alle sole forze di maggioranza. Questo è quanto non è mai avvenuto dal dopoguerra ad oggi e non ho notizia che sia mai avvenuto qualcosa del genere in Assemblee di Paesi in cui ci siano regimi democratici e la questione, per la sua gravità, va rimarcata perché riguarda un punto sostanziale e non di poltrone occupate dagli uni o dagli altri. Io stesso allo Camera dei deputati (e poi al "Comitato delle Regioni") ho fatto parte di Uffici di Presidenza e so bene quanto sia essenziale un pluralismo nella rappresentanza dove si decide la regolazione dei lavori, che sono - dove le Assemblee non sono alla mercé dei Governi - meccanismi delicati e decisivi.

Nella mia esperienza a Roma e Bruxelles mai e poi mai a qualcuno sarebbe venuto in mente - pena un vero e proprio scandalo - di privare di rappresentanza i gruppi politici di minoranza, perché questo è un caposaldo del parlamentarismo. Mi sento di dire che in questo modo si violano principi basilari non solo dello Statuto d'Autonomia e le conseguenti norme regolamentari, ma anche delle norme costituzionali persino di rango europeo, per non scomodare le istanze ancora più vaste - contenute nella "Carta Europea delle Autonomie Locali" - del "Consiglio d'Europa" e vigilate anche da quel Congresso dei poteri locali e regionali di cui ho fatto parte a Strasburgo. Eppure par di capire che, per scelta cinica o per mancanza di comprensione della gravità dei fatti, si è andati avanti lo stesso, dimenticandosi che la violazione delle regole non solo è grave perché illegittima, ma lo è perché le norme di garanzia valgono a tutela di tutti, perché in democrazia chi oggi è maggioranza può domani diventare opposizione, per cui chi profitta in questi passaggi odierni della situazione in futuro potrebbe pentirsene. Ci rifletta soprattutto chi, violando la volontà degli elettori, è salito con facilità sul carro dei vincitori, lasciando l'opposizione per la maggioranza nella logica di una "grande coalizione" ed aderisce con opportunismo a quanto fino a ieri avrebbero ritenuto gravemente lesivo. Per altro, lo stesso Consiglio Valle sarebbe bene riflettesse sul suo ruolo attuale nell'ordinamento valdostano, mentre si avvia con difficoltà a riflettere sull'ennesimo tentativo di riscrittura dello Statuto, quanto è giusto fare, pur sperando che il referendum costituzionale bocci in autunno la riforma renziana della Costituzione per il suo contenuto autoritario ed anti-autonomista. Perché la triste realtà è che, in barba proprio allo Statuto e al regime parlamentare da esso previsto, sta sempre più perdendo spazi istituzionali e autorevolezza, specie in questa stagione conclusiva del rollandinismo, quel sistema autocratico pazientemente costruito in politica e nella società valdostana dal presidente Augusto Rollandin e che, come si fa con un carciofo, ha spogliato foglia dopo foglia poteri e competenze del piccolo parlamentino regionale ed oggi siamo giunti a livelli mai visti. Nel moto generale di reazione e, quando verrà, nella difficile operando ricostruzione di un contesto nuovamente democratico certi avvenimenti come quelli attuali dovranno far riflettere, sperando che le poche voci di oppositori (in troppi hanno criticato per poi accomodarsi con servilismo dall'altra parte) riescano a far capire a quella parte di opinione pubblica narcotizzata la posta in gioco, che è poi una lotta al progressivo restringimento degli spazi di libertà occupati da un sistema tentacolare ma in sostanza sempre più inefficiente a detrimento della Valle d'Aosta. Lo diceva una persona che era un fil di ferro come Rita Levi-Montalcini, scienziata "premio Nobel" e Senatore a vita: «Nella vita non bisogna mai rassegnarsi, arrendersi alla mediocrità, bensì uscire da quella zona grigia in cui tutto è abitudine e rassegnazione passiva, bisogna coltivare il coraggio di ribellarsi».