Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
22 lug 2016

L'appello sulla malattia di Lyme

di Luciano Caveri

E' un caso personale, in cui forse sono stato persino esagerato nella cautela che ho applicato, ma meglio essere vigili piuttosto che trovarsi poi a piangere su di una patologia, sapendo che sulla malattia di cui parlerò oggi mancano elementi divulgativi utili per la sua prevenzione. Una premessa: qualche tempo fa, camminando in montagna in Val d'Ayas, ebbi l'impressione di essere stato morsicato alla nuca da qualche cosa che sembrava essere caduto poco prima dalle fronde di un albero. Istintivamente staccai questo insetto, che sembrava stesse penetrando nella carne, accorgendomi subito che si trattava di una zecca, piccolo parassita che spesso avevo visto sulla pelliccia degli animali che venivano portati da mio papà nel suo studio di veterinario.

Ricordavo di una brutta malattia di cui molto si parlava per la sua presenza anche sulle Alpi: la"malattia di Lyme", dal nome della cittadina del Connecticut, dove si verificò un'epidemia di questo male, segnalata a partire dal 1975 e che si manifestò con un misterioso aumento dei casi di artrite, soprattutto infantile. Per cui chiesi consiglio al mio medico curante, che, anche per tranquillizzarmi benché non sembrassero esserci segni di malattia, mi diede da prendere poche pastiglie di un antibiotico, che avrebbero bloccato qualunque evoluzione, comunque all'epoca considerata rara eventualità. Leggo ora sul settimanale francese "Obs" che "plus de cent médecins lancent un appel d'urgence au gouvernement" per le conseguenze di questa malattia, che è giunta in Italia - esattamente in Liguria - solo nel 1983 anche a causa dei cambiamenti climatici e che viene considerata negli Stati Uniti la malattia infettiva a diffusione più rapida dopo l'"Aids". Così dice l'articolo nel suo inizio, prima della parte scientifica vera e propria: "Ils lancent l'alerte. De plus en plus souvent, ces médecins sont confrontés à des malades qui errent des années d'hôpital en hôpital. Paralysés, souffrant de douleurs musculaires et articulaires, on leur a diagnostiqué à tort un Alzheimer, une sclérose en plaques ou une spondylartrite. Ils sont en fait atteints de la maladie de Lyme chronique, transmise par les tiques. Une maladie non reconnue en France, sous-diagnostiquée, que la Sécu rechigne à prendre en charge. Et pourtant en forte expansion". Leggevo in queste ore di cinque casi in trattamento in Provincia di Bolzano/Bozen, ma basta effettuare alcune ricerche sul Web per vedere come la questione anche in Italia sia abbastanza sottostimata e non è chiaro, ad esempio, se convenga o meno fare il vaccino creato in Austria nel 2000. Prendiamo da un sito sostenuto dalle Regioni Valle d'Aosta e Piemonte, purtroppo non più aggiornato da un annetto, che si trova all'indirizzo malattierarepiemonte.it. Sulla "malattia di Lyme" così si legge: "Patologia infettiva che interessa prevalentemente cute, articolazioni e sistema nervoso, causata dalla Borrelia Burgdorferi, una spirocheta trasmessa all'uomo attraverso la puntura di una zecca infetta. La malattia è caratterizzata da tre stadi clinici, il primo dei quali è precoce e della durata di 1-8 settimane; si caratterizza per la presenza di una lesione dermatologica tipica, detta eritema cronico migrante. Nel secondo stadio, che si verifica da uno a quattro mesi dall'esordio, si ha un'infezione disseminata con prevalente coinvolgimento di cuore, sistema nervoso ed apparato muscolo-scheletrico. Clinicamente si caratterizza per la comparsa di mialgie, artralgie migranti, neuropatie con interessamento dei nervi cranici, meningiti asettiche e disturbi della conduzione cardiaca. Infine il terzo stadio è caratterizzato da una poliartrite cronica, polineuropatie con deficit sensitivi e/o motori, meningiti ed encefalopatia progressiva con perdita della memoria. Non è una malattia ereditariamente trasmessa". Brutta storia su cui non sarebbe male avere informazioni più precise e, se possibile, rassicuranti. Non si tratta di fare allarmismo, ma il caso francese - con pazienti che effettuano viaggi della speranza nella confinante Germania - è significativo di un silenzio che avvolge i rischi per nulla indifferenti di questa malattia.