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03 lug 2016

Il "caso Bossetti" fra banalità e eccessi

di Luciano Caveri

Sarei ipocrita se dicessi che ieri non ho atteso la decisione della Corte d'Assise chiamata a giudicare (le giurie popolari mi incuriosiscono sempre) e l'indomani ho letto pure le cronache dei giornali che spesso - nelle mani di bravi cronisti - danno quei tocchi di colore alle cronache che la televisione non è in grado di offrire. Anche perché troppi spazi televisivi in Italia - singolare eccezione che la dice lunga - sono in mano a conduttori improbabili che se non hanno un copione in mano non saprebbero neppure spiaccicare parola e la fragilità pappagallesca emerge in certi contenitori televisivi del pomeriggio, che risultano quantomeno avvilenti. Ma veniamo al punto: sei anni dopo il delitto della giovanissima Yara Gambirasio e due anni dopo l'arresto di Massimo Bossetti, ieri a Bergamo l'imputato è stato condannato in primo grado all'ergastolo. Personalmente, da quel che ho letto in questi anni, appartengo alla schiera dei colpevolisti e comunque due anni per avere una prima sentenza risulta un tempo tutto sommato ragionevole per un processo complesso e dalla mole e qualità del lavoro svolto per dare un volto all'assassino , anche con l'ausilio di tecniche modernissime come gli accertamenti sul "Dna", pure assai costoso.

Ma l'intento condivisibile di accertare i fatti nel limite del possibile su di una vicenda odiosa e pure drammatica, pensando all'agonia solitaria di quella che era poco più che una bambina, strappata da un mostro ad una vita serena e normale in quella vita di provincia che spesso genera vicende che finiscono all'attenzione nazionale, perché una morte - nella banalità del Male - mette poi in movimento un fenomeno di ricostruzione delle società locali da parte degli esperti o sedicenti tali che sfocia in affreschi abnormi rispetto al punto di partenza. La Valle d'Aosta l'ha vissuto con gli eccessi del "caso Cogne": la morte di un bimbo ucciso dalla madre che ha dato vita ad un fenomeno mediatico per nulla corrispondente alla banalità reale della vicenda, pur dolorosa e esemplare che fosse. Certo - da quando il giornalismo è nato ma già nella letteratura nelle sue diverse forme - la cronaca nera continua ad avere un'incidenza enorme, oggi specie in televisione con la sua incidenza spesso spropositata. Questo distorce la realtà e genera una nociva sovraesposizione con l'alibi degli ascolti e la giustificazione che si segue di conseguenza un interesse dell'opinione pubblica. Non dico questo per moralismo o "puzza sotto il naso" e non esiste ormai nessuna funzione educativa o pedagogia del giornalismo. Penso però che non debba esistere neppure l'esatto contrario: la televisione guardona che cucina robaccia che abbassa i gusti del pubblico e asseconda forme di voyeurismo superficialità e di bassa lega. Il punto finale riguarda i prossimi passi della Giustizia, che scatenano in queste ore («in attesa di leggere la sentenza», come dicono gli avvocati...) comprensibili attese e prevedibili commenti. Casi analoghi ci hanno abituati a una varia casistica fra Appello e Cassazione che hanno spesso riaperto questioni che parevano chiuse con la prima condanna. Ma l'Italia ha una Giustizia che ama in molte occasioni i colpi di scena e dunque meglio non stupirsi. E' possibile che su questa altalena salirà anche Bossetti.