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19 giu 2016

La passione per la politica

di Luciano Caveri

La politica resta per me una grande passione. So quanto oggi sia difficile dirlo: se un tempo, anche in Valle d'Aosta, il politico poteva pensare ad un riconoscimento delle sue azioni, magari dopo una lunga carriera, oggi il rischio è quello di essere persino malvisti e disprezzati perché si entra in un rischio di fare di tutta l'erba un fascio. Un gioco al massacro che non mi preoccupa affatto, avendo la coscienza pulita per aver svolto un lavoro che penso sia stato improntato all'impegno costante e all'onestà personale. Ciò detto e segnalato come so bene che "chi si loda s'imbroda", vorrei dire che la situazione attuale della Valle d'Aosta non consente la quiete del disimpegno o deleghe in bianco firmate a chissà chi.

Piero Calamandrei così si espresse in un celebre discorso del 1955 ai giovani milanesi: «"La politica è una brutta cosa. Che me n'importa della politica?". Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: «Ma siamo in pericolo?» E questo dice: «Se continua questo mare tra mezz'ora il bastimento affonda». Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: «Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda». Quello dice: «Che me ne importa? Unn'è mica mio!». Questo è l’indifferentismo alla politica. E' così bello, è così comodo! è vero? è così comodo! La libertà c'è, si vive in regime di libertà. C'è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono... Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l'aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent'anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica…». Penso che mai come ora debba prevalere la scelta della militanza e del coinvolgimento, facendo tesoro degli errori compiuti, pur senza piangere sul latte versato e prendendo atto di due cose. La prima: la formula tradizionale del partito è morta e sepolta e rischia di esprimere leadership che seguono poi al momento buono i propri sentieri favoriti, coprendolo con l'invocazione all'interesse collettivo. Esiste in questo una terribile profezia di Enrico Berlinguer, che morì nel giugno del 1984 alla fine di un comizio a Padova: «I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti». Vale la lezione morale che emerge e lo dico con la convinzione che, senza sconfessare quanto vissuto e senza riferimenti maliziosi, ci si debba sforzare nel cercare nuove strade. La seconda: una regola aurea della politica è che l'elettore sceglie l'originale, non la sua copia, quando le alleanze politiche rendono i soggetti indistinguibili. Questa logica si accompagna al "sono tutti uguali", cui bisogna reagire con forza e aggregando chi crede che non sia la rassegnazione la risposta giusta.