Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
07 giu 2016

La Sanità da tutelare

di Luciano Caveri

Fatemi dire una cosa, che ho imparato in questi mesi in cui ho avuto una serie di guai fisici - facendo le corna, non gravi - che mi hanno obbligato a visite e ricoveri. La propria salute, alla fine, è quel che conta. Sarà pure immaginifico l'ultimo avvincente e commovente romanzo di Marc Lévy ("L'Horizon à l'envers"), che racconta una storia di come magari un giorno non moriremo mai perché la nostra memoria potrebbe essere trasferita in un computer che ci renda immateriali, ma per ora l'orizzonte resta quello umanissimo, cui avere avere una certa affezione. In verità poi stare dentro un microchip non mi sembra così allettante, anche se poi ovviamente le logiche per ora fantascientifiche, come evocate nel libro, prevederanno magari un giorno che questo noi stessi venga trasferito su qualcosa di corporeo che ci ridia una vita. Ma sarà una questione per chi verrà tra molto tempo.

Intanto occupiamoci dell'esistente e confesso, di conseguenza, di avere vivamente apprezzato il sistema sanitario e tutti coloro - con rare eccezioni che andrebbero sempre sanzionate con rudezza - che lavorano in uno dei capisaldi di quel Welfare che in Valle d'Aosta è una delle conquiste dell'Autonomia speciale. Senza di essa e di chi mette nella sanità professionalità e cuore avremmo vissuto le vicende tragiche di molte valli alpine, che si sono trovate ad avere chiusure di ospedali e di altri presidi sanitari e socio-assistenziali nel nome di una "spending review" aggressiva, che sembra considerare la parte della Costituzione dedicata ai diritti del cittadino come una rottura di scatole, tipo l'articolo 32, che non a caso recita: "La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo". Dunque un diritto imprescrittibile, che non è un programma, ma un obbligo cui adeguarsi, pena la violazione della Carta fondamentale. Ma oggi un ultraliberismo - e non lo dico con ridicola foga anticapitalista che non mi appartiene - ritiene che sarebbe meglio cancellare certe prescrizioni per lasciar fare al mercato e alle sue regole. Su questo sarebbe bene anche in Valle d'Aosta, contro certe tendenze smantellatrici, drizzare le antenne, perché esiste una soglia oltre la quale si minano certi aspetti fondativi di una moderna convivenza e se si cede è come la rottura di una diga. Ma torniamo al punto e al riconoscimento per il personale medico e paramedico del lavoro svolto, che si fa sempre più difficile con l'allungamento delle prospettive di vita (in Italia è una soglia d'improvviso arretrata nell'ultimo periodo e non è difficile capire il perché con certe scelte proprio sulla Sanità...) e dunque ospedali che si trovano ad affrontare nuove problematiche. Mi pare che complessivamente lo si faccia con grande senso di responsabilità, e anche con la viva preoccupazione per una burocrazia sempre più involuta e fatta da un mare di carte da compilare anche nella logica di controlli in cortocircuito del genere infinito di «chi controlla i controllori?». Con procedure informatiche che spesso si affiancano a quelle tradizionali e così la digitalizzazione e la sua componente di velocizzazione e efficacia finisce per non sostituire in pieno le vecchie pratiche. Così come la logica di premiare chi taglia meglio e di più rischia di creare l'idea che un amministratore ideale sia come un giardiniere votato ad una potatura potenzialmente cieca, se la logica è quella - spesso applicata - dei cosiddetti "tagli lineari".