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24 mag 2016

La simpatia per i cattivi

di Luciano Caveri

Nel "Misantropo" di Molière c'è questo passaggio illuminante che arriva dalla profondità del tempo, essendo l'animo umano immutabile: «...je hais tous les hommes: 
les uns, parce qu'ils sont méchants et malfaisants,
 et les autres, pour être aux méchants complaisants,
 et n'avoir pas pour eux ces haines vigoureuses
que doit donner le vice aux âmes vertueuses». In sostanza non sono solo cattivi i "cattivi", ma anche quelli che in fondo ne diventano complici. Parole sante. Anche se poi, linguisticamente, forse ha ragione Umberto Saba con la sua sensibilità di poeta: «Buono e cattivo sono termini arcaici, che l'abuso ha degradati a significati solo gastronomici. Propongo di sostituirli con "chiaro" e "oscuro". Tutto quello che (in noi stessi) è chiaro, è buono; tutto quello che è oscuro, è cattivo». Il Male come oscurità è del tutto convincente.

Ci penso spesso nella vita quotidiana - in barba al lieto fine che ci impregna - quando vedo vincenti i malvagi e penso sempre, magari ingenuamente, che ci sarà una partita di ritorno. Ma ci penso anche quando le prodezze dei cattivi ("captivus" sarebbe prigioniero in latino, ma cattivo deriva dal terribile "captivus diaboli", prigioniero del diavolo) finiscono - nel media più praticato, la televisione nelle sue varie forme - per esercitare una sorta di fascinazione. L'ultimo caso, in ordine di tempo, è il terribile "Gomorra 2", la serie televisiva italiana ispirata dall'omonimo romanzo di Roberto Saviano, che racconta della Camorra campana e dei suoi misfatti, non solo nel luogo di radicamento tradizionale di questa malavita, ma ormai in giro per il mondo. Avevo rivisto, lo osservo per analogia, la serie americana "I Soprano", dedicata alla vita di Tony Soprano, boss della mafia italoamericana del New Jersey, conclusasi nel 2007 in modo piuttosto misterioso (per altro qualche anno dopo a Roma, per infarto, è morto lo straordinario interprete James Gandolfini). Così come seguo in televisionedue serie televisive con due cattivoni da manuale, "House of Cards", con gli intrighi di potere alla Casa Bianca del presidente Frank Underwood e consorte (gli straordinari attori Kevin Spacey e Robin Wright) e "The Blacklist" con un personaggio ambiguo e terribile, tale Raymond Reddington (l'attore James Spader), in una serie che svela episodi inquietanti della parte più malvagia dell'umanità. L'aspetto terribile, che tanto fa discutere proprio in Italia sulla serie "Gomorra" (che io vedo sottotitolata in italiano, perché non capisco un tubo del dialetto locale) ma vale per le altre serie appena citate, è che in fondo rischia di crearsi nel telespettatore un effetto di empatia e persino di simpatia verso i malvagi e, in certi casi, i buoni sembrano essere solo marionette o figurine senza possibilità di vittoria o riscatto. Roba da lettino dello psicoanalista. Leggevo l’intervista di Gianmarco Bachi sul sito di "Radio Popolare" al capo degli sceneggiatori di "Gomorra", Stefano Bises, che racconta la sfida di raccontare il male senza mitizzarlo. «Questa serie racconta storie di gente che non sbaglia mai e di altri che sbagliano sempre per "dna" criminale, perché hanno un destino segnato», racconta Bises. «Gente che sbaglia sui sentimenti, sbaglia sulle relazioni umane. Questa seconda stagione porta avanti quella che è stata una delle forze della prima, cioè la deviazione di queste relazioni familiari e sentimentali tra i personaggi». Chiede l'intervistatore: «Raccontare il fascino del male è sempre una grande responsabilità. Serve grandissima tensione narrativa, è pericoloso, perché si possono costruire modelli. Il male ha sempre un grande fascino». Risponde Bises: «Questo però è un fatto. Il male è affascinante perché è una parte di noi. La cosa a cui abbiamo cercato di essere più attenti, visto che venivamo dal libro di Roberto Saviano e volevamo confermare il suo sguardo, è di non trasformare questi personaggi in eroi. Io credo che in parte ci siamo riusciti dal momento in cui si fa fatica ad affezionarsi, o meglio ci si affeziona e poi si resta molto delusi. In fondo sono degli antieroi, non diventano mai dei modelli "aspirazionali" perché conducono esistenze miserabili, hanno i destini segnati (galera o morte) si circondano di brutto... Credo che questo metta una distanza e però comunque ci si senta coinvolti dalle loro storie, visto che sono personaggi ispirati alla realtà e si ritrova qualcosa di vero». Può darsi che sia così, ma io trovo che, in questo come negli altri casi, si cammini sempre sul filo del rasoio e certo, in alcuni passaggi, il rischio è che a Scampia nei bar ci siano dei tifosi del malaffare che gongolano, ma lo stesso può capitare per tanti "signor Nessuno" davanti alla televisione, che finiscono per "tenere" per il lato oscuro.