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10 mag 2016

Quando l'età è relativa

di Luciano Caveri

La storia del "Leicester" - nel filone "Davide contro Golia" e cioè del piccolo che sconfigge il grande - ha varcato, altrimenti non ne parlerei, i confini del Calcio (su cui sono distratto), diventando una storia appetibile. Una squadra di provincia sfigata che vince il campionato di "Prima divisione" inglese è un sogno collettivo realizzato. Per altro, nessuno in Italia si sarebbe filato la notizia se di mezzo non ci fosse stato Claudio Ranieri, cioè un allenatore italiano - classe 1951, romano "de Roma" - che ha trovato in questa città delle Midlands Oriental e nella sua squadra di football, il suo riscatto. Giangiacomo Schiavi, giornalista e scrittore, ieri sul "Corriere della Sera" ha scritto un editoriale, cui attingo, perché ne condivido i contenuti.

Ecco l'incipit: "Alla fine la lezione di Claudio Ranieri è questa. Dipende da noi. Dalla voglia di farcela. Dalla capacità di non arrendersi. Da giovani e da vecchi. Soprattutto da vecchi. L'età non c'entra. L'età è solo un numero. Ogni età ha qualcosa di bello da offrire se si accetta per quello che è. E il bello di un trionfo a 64 anni quando sei considerato un vecchio arnese, un vecchio del mestiere o peggio (Mourinho docet) vecchio e perdente, è sorridere al mondo con la felicità di un ragazzino e dire che i sogni esistono e si possono realizzare anche quando vengono quotati 5.000 ad 1". In epoca di rottamazione, che poi si scontra con l'allungamento della vita che ci fa sentire giovani anche quando un tempo si era già morti o considerati buoni per farlo, la parabola di Ranieri è davvero un riscatto contro certo nuovismo. Pensiamo a Matteo Renzi che rottama a seconda delle convenienze (e ora propone un'onorificenza per Ranieri...) e principalmente lo fa per potersi attorniare di fedelissimi nei punti cardine della macchina dello Stato, meglio se di Firenze o dintorni. Aggiunge Schiavi e il brano va tenuto nel portafoglio anche di chi, come nel mio caso, è della fine degli anni Cinquanta: "Non è mai troppo tardi, aggiungiamo noi. La vecchiaia, quella che scatta con la cosiddetta età della pensione, va considerata un errore burocratico. Montanelli aveva sessant'anni quando abbandonò un giornale per fondarne un altro con questo nome. Lasciò il "Corriere della Sera" per un'avventura con tanti rischi e poche certezze. Ma riuscì nell'intento, e tornò nella sua casa di via Solferino a più di ottant'anni. Ancora oggi rimpianto. «La soglia della vecchiaia è soltanto la soglia di una nuova avventura», ha scritto Arrigo Levi. Siamo circondati da giovani vecchi con talento ed entusiasmo da vendere. Umberto Veronesi, è uno: all'età di Ranieri, ha lasciato un ospedale e ne ha costruito un altro. Coraggio dell'incoscienza? No. Semplicemente la voglia di mettersi alla prova, di affrontare una nuova sfida, di lottare per un sogno e per un ideale. Lo stesso di Margherita Hack, che a novant'anni ripeteva a chi l'andava a trovare. «Ragazzi, diamoci da fare. C'è da scoprire che cos'è l'energia oscura...». Non si diventa vecchi per default. Claudio Ranieri ha ancora molto da insegnare al calcio, ai giovani, ai suoi coetanei. Con l’impresa del Leicester, involontariamente, ha realizzato quel che Italo Calvino sosteneva nelle sue "Lezioni americane". Ad una certa età, affermava lo scrittore, si deve puntare solo sulle cose difficili, quelle che richiedono sforzo e che bisogna eseguire alla perfezione, diffidando della faciloneria, del fare tanto per fare. E' così che si costruisce una vecchiaia felice. Senza rinunce, pronti a nuove sfide. Qualche volta, capita anche di vincere". Naturalmente Schiavi parla di persone famose, che hanno agito con determinazione e senza abbandonarsi alla Sorte anche nell'ultima parte della loro vita, ma credo che tutti noi possiamo testimoniare di vicende che dimostrano come questa possa essere considerata la normalità e non l'eccezione. Ricordo un episodio esemplare e forse estremo: quando mio padre doveva avere 83 o 84 anni e i carabinieri di Verrès lo chiamarono perché una mucca era finita sotto un treno e non so bene a cosa servisse, nel cuore della notte, la presenza di un veterinario. Nessuno pareva essere disponibile a quell'ora e mio padre - da sempre abituato alle sveglie notturne per il suo lavoro - andò sul posto con la sua mitica "Panda". Lo sgridai e fui tentato di telefonare al comandante della Stazione locale per chiedergli se gli sembrasse il caso di svegliare un vecchietto a quell'ora. Ma poi a vedere mio papà contento come una pasqua di quell'avventura fuori programma, dimostrazione della sua utilità professionale, decisi saggiamente di starmene zitto.