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07 mag 2016

La tentazione dell'eremitaggio politico

di Luciano Caveri

L'eremitaggio esisteva anche nella cultura cristiana delle Alpi. L'eremita sceglieva un luogo isolato e viveva solitario in questo luogo remoto (o meglio "romito"), appartato dal mondo. Essendo chi vi scrive una persona che ama la socialità, neppure per un momento - al di là di ogni impossibilità logica di famiglia e di lavoro - potrei pensare di affrontare un cimento di questo genere, specie nelle forme vere ed estreme in cui veniva praticato, che non hanno nulla a che vedere con certe forme contemporanee di new age. Eppure qualche tentazione di eremitaggio politico di tanto in tanto mi prende. Abituato, nel limite delle mie capacità, ad affrontare ogni questione con un minimo di analisi e di approfondimento, stento a ricostruire scenari di cui mi sfuggono a pieno logiche e componenti. E soprattutto, nell'attenermi al confronto franco e diretto, mi perdo quando in certi disegni ci sono pezzi del puzzle che non ho o perché non sono in grado di vederli o perché non ci sono proprio.

So bene che esistono regole non scritte e che la trasparenza si ferma spesso su limitare di cose dette o non dette e ci sono opportunità che possono dimostrarsi utili, ma con il tempo mi piace molto la nettezza e quel che è "bianco" dovrebbe essere "bianco" e quel che è "nero" dovrebbe essere "nero", mentre le "zone grigie" finiscono per essere pericolose come la "Terra di nessuno" posta fra due trincee, dove morivano più soldati accoppati da fuoco nemico e amico e, se ci salvava, ecco il rischio di essere processato come disertore. La politica cambia nel tempo e oggi, ad esempio, il confronto sui "social" salta ogni intermediazione giornalistica e lo stesso giornalismo diventa, esattamente per anticipare gli eventi, più un dietro le quinte che l'esatta rappresentazione dei fatti (altro che la regola aurea di separare notizie da commenti!). Questo genera confusione e incertezze, dando per altro un'immagine sempre peggiore della politica e dei politici. Specie quando, fra un'elezione e l'altra, salta ogni riferimento alla proposta a suo tempo avanzata ai cittadini al momento del voto e lo si vede, ma non solo, dal Governo Renzi. L'emergenza e lo scenario catastrofico di questo mondo che viviamo diventano la chiave di volta per costruire grandi coalizioni, che rendono tutto indistinguibile, in una specie di passato di verdura in cui alla fine non si intravvedono più composti e gusto: insomma, una "mappazza". Tutto ciò può - se non se ne capisce la ratio - alimentare il baratro che si apre sotto i piedi non dei politici ma delle Istituzioni con l'abbandono per sfiducia sia del voto con l'astensionismo sia della partecipazione politica con partiti che diventano, quando si scende al di sotto di limiti di guardia, piccoli gruppi autoreferenziali ed a rischio elitarismo. Facile constatare queste difficoltà e gli stravolgimenti della democrazia partecipativa, più difficile capire il da farsi, se non riaffermare con pazienza le ragioni di un disegno di coinvolgimento su temi e problemi nella logica costruttiva della sussidiarietà e pensando che al crescente personalismo ed al centralismo statale bisogna contrapporre disegni di condivisione ed il famoso federalismo. Capisco, però, che si rischia di finire in un mondo solo delle Idee, magari persino delle Utopie, come se poi non fossero proprio gli aspetti visionari quelli destinati prima o poi ad arrivare, determinando i cambiamenti, ammesso che esista davvero un movimento che spinge l'umanità a migliorare e non a peggiorare, come talvolta dubito. Con il pericolo, per altro, di essere bollati di "intellettualismo", cui contrapporre un pragmatismo muscolare nella già citata logica del trovare quel che unisce e non parlare di ciò che divide. Per cui il rischio è, alla fine, quello di rasentare l'iniziale eremitaggio politico e coltivare il gusto dello studio e dell'approfondimento con l'incognita evidente di cadere in forme di "solipsismo" (e dietro la parolona non c'è altro che il rischio di trovarsi in una condizione sterile di individualismo). Insomma: un casino, per usare una parola che rende nella sua crudezza e nella sua storia suggestiva quanto di difficile ci sia nel coniugare pensieri, speranze e proprio modo di essere con certi moti che sembrano ineluttabili come il movimento delle maree. Resta, in fondo al corridoio dei propri pensieri, la coscienza personale, che ha sempre una dimensione intima e come tale non delegabile ad altri. A questa vorrei continuare a rifarmi, sapendo che ogni posizione per essere difesa dev'essere ancorata a delle convinzioni, altrimenti il rischio sarebbe quello di seguire il flusso della corrente come un ramo secco, senza sapere neppure esattamente dove si andrà a finire. Lo dico, precisando che non sono malinconico, anzi credo che quando ci sono cose da fare bisogna affrontarle con il sorriso sulle labbra e senza dispensare veleni.