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27 apr 2016

Giri di giostra

di Luciano Caveri

L'altro giorno sono finito agli autoscontri e trovo la cosa del tutto spassosa. Naturalmente a volerci andare è stato il piccolo Alexis e questa circostanza è del tutto corrispondente ai desideri dei suoi fratelli alla stessa età, ma loro ormai sono grandi e non avendo ancora figli (miei nipoti!) non si creano ancora il problema di tornarci e questo un giorno verrà ineluttabile anche per loro, perché ci sono delle cose che sembrano non cambiare mai. Che cosa spinga un bambino ad eccitarsi dei "baracconi" (come si chiamava un tempo le giostre minimaliste che girano i paesi anche più piccoli) è davvero difficile da dire. Per altro devo dire che analoga eccitazione vale anche per le giostrine con cavallini e altre diavolerie più moderne: io a vedere girare il pupo trovo l'esercizio terribilmente alienante, lui - pur di fare un giro in più - si precipitata sullo "straccio" (a miei tempi la "coda di volpe") che consente di scroccare una corsa gratuita.

Ma, va detto, che questa storia del "giro di giostra" è in fondo una potente metafora della vita. Come scriveva - mentre la sua vita si spegneva - il grande Tiziano Terzani: «Vivo ora, qui, con la sensazione che l'universo è straordinario, che niente ci succede per caso e che la vita è una continua scoperta. E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra». Capisco - tornando all'eccitazione da giostre - che ciò avvenisse ai miei tempi, quando c'era poco da vedere e l'arrivo dei giostrai era un avvenimento, che ci spingeva a chiedere i soldi per la bisogna e a ricevere gli ammonimenti sul rischio che «ci portassero via» (ed uno si immaginava il rapimento e la susseguente vita avventurosa turbata solo dal rimpianto di essere stati strappati alla famiglia). Ma oggi, dopo che i ragazzini hanno la possibilità di andare a "Gardaland" o ad "EuroDisney", davvero c'è da chiedersi che cosa li spinga ad amare quelle quattro carabattole delle attrazioni. Per altro, almeno queste ultime giostre che ho visto, sono davvero vintage: l'autoscontro credo risalga ai miei tempi ed i "calcinculo", uno piccolo e una grande, forse sono gli stessi di cui mi raccontava mia madre di quando era ragazzina. Eppure basta un pochino di musica sparata, un presentatore-imbonitore improbabile, luci stroboscopiche, personaggi vagamente misteriosi che si aggirano ed il successo sembra essere assicurato. Ed io, stupidamente, mentre insegnavo al bimbo il funzionamento delle macchinette che si scontrano, ritrovando in fretta un'antica ma inutile perizia, mi sono divertito e ritrovato bambino. Fatemi chiudere con una favola del grande Gianni Rodari, che ho letto - sere fa - al già citato Alexis e che ha il gusto del passato e una forza immaginifica persistente. "La giostra di Cesenatico", si intitola: "Una volta a Cesenatico, in riva al mare, capitò una giostra. Aveva in tutto sei cavalli di legno e sei jeep rosse, un po' stinte, per i bambini di gusti più moderni. L'ometto che la spingeva a forza di braccia era piccolo, magro, scuro, e aveva la faccia di uno che mangia un giorno sì e due no. Insomma, non era certo una gran giostra, ma ai bambini doveva parere fatta di cioccolato, perché le stavano sempre intorno in ammirazione e facevano capricci per salirvi. «Cos'avrà questa giostra, il miele?» si dicevano le mamme. E proponevano ai bambini: «Andiamo a vedere i delfini nel canale, andiamo a sederci in quel caffè coi divanetti a dondolo». Niente: i bambini volevano la giostra. Una sera un vecchio signore, dopo aver messo il nipote in una jeep, salì lui pure sulla giostra e montò in sella a un cavalluccio di legno. Ci stava scomodo, perché aveva le gambe lunghe e i piedi gli toccavano terra, rideva. Ma appena l'ometto cominciò a far girare la giostra, che meraviglia: il vecchio signore si trovò in un attimo all'altezza del grattacielo di Cesenatico, e il suo cavalluccio galoppava nell'aria, puntando dritto il muso verso le nuvole. Guardò giù e vide tutta la Romagna, e poi tutta l'Italia, e poi la Terra intera che si allontanava sotto gli zoccoli del cavalluccio e ben presto fu anche lei una piccola giostra azzurra che girava, girava, mostrando uno dopo l'altro i continenti e gli Oceani, disegnati come su una carta geografica. «Dove andremo?», si domanda il vecchio signore. In quel momento gli passò davanti il nipotino, al volante della vecchia jeep rossa un po' stinta, trasformata in un veicolo spaziale. E dietro a lui, in fila, tutti gli altri bambini, tranquilli e sicuri sulla loro orbita come tanti satelliti artificiali. L'omino della giostra chissà dov'era, ormai; però si sentiva ancora il disco che suonava un brutto "cha cha cha": ogni giro di giostra durava un disco intero. «Allora il trucco c'era», si disse il vecchio signore. «Quell’ometto dev'essere uno stregone». E pensò anche: «Se nel tempo di un disco faremo un giro intero della Terra, batteremo il record di Gagarin». Ora la carovana spaziale sorvola l'Oceano Pacifico con tutte le sue isolette, l'Australia coi canguri che spiccavano salti, il Polo Sud, dove milioni di pinguini stavano con naso per aria. Ma non ci fu il tempo di contarli: al loro posto già gli indiani d'America facevano segnali col fumo, ed ecco i grattacieli di Nuova York, ed ecco un solo grattacielo, ed era quello di Cesenatico. Il disco era finito. Il vecchio signore si guardò intorno, stupito: era di nuovo sulla vecchia, pacifica giostra in riva all'Adriatico, l'ometto scuro e magro la stava frenando dolcemente, senza scosse. Il vecchio signore scese traballando. «Senta, lei», disse all'ometto. Ma quello non aveva tempo di dargli retta, altri bambini avevano occupato i cavalli e le jeep, la giostra ripartiva per un altro giro del mondo. «Dica», ripeté il vecchio signore, un po' stizzito. L'ometto non lo guardò nemmeno. Spingeva la giostra, si vedevano passare in tondo le facce allegre dei bambini che cercavano quelle dei loro genitori, ferme in cerchio, tutte con un sorriso d'incoraggiamento sulle labbra. Uno stregone quell'ometto da due soldi? Una giostra magica quella buffa macchina traballante al suono di un brutto "cha cha cha". «Via», concluse il vecchio, «è meglio che non ne parli a nessuno. Forse riderebbero alle mie spalle e mi direbbero: Non sa che alla sua età è pericoloso andare in giostra, perché vengono le vertigini?»"