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27 apr 2016

Il canto e le montagne

di Luciano Caveri

Mi sono occupato molto delle Montagne, intese come argomento complessivo, declinato al plurale per la varietà si scopre dietro questa parola, che corrisponde poi alla ricchezza culturale incredibile di popolazioni che hanno scelto, nei diversi Continenti, di abitarci. D'altra parte deriva dal latino "mōns mōntis", che arriva a sua volta dalla radice indoeuropea "*men- elevarsi, sporgere". Per cui resta inteso che questo luogo più elevato può valere a seconda del territorio viciniore: quel che per me, valdostano, è un monticello, è davvero una montagna per altri, applicandosi l’ovvio principio di quanto tutto sia relativo rispetto al contesto di appartenenza. Ma uno dei comuni denominatori che accomuna i montanari - e l'ho visto sotto diverse latitudini - è la passione per la musica e per il canto, che sembra essere uno dei tratti distintivi della personalità del montanaro da solo e soprattutto in gruppo con evidente funzione sociale.

In questo la mia piccola Valle d'Aosta ha, con "RaiVd'A" in radio ed in televisione - in ormai in trentasette anni di attività, per i quali varrebbe la pena di trovare in un sito multimediale facilmente consultabile ed in versione digitalizzata per non perdere un mare di memoria - la caratteristica singolare di essere un'area test. Non mi occupo solo delle forme di scolarizzazione, che partono dal basso sino all'istruzione universitaria, ma a logiche territoriali ancora molto forti, malgrado una certa crisi partecipativa che ormai rischia di avvolgere tutto come un bozzolo. Ci sono ore e ore di registrazioni di corali e bande musicali, di cantanti singoli e di band, ricostruzioni storiche delle musiche del passato e filmati che mostrano la vitalità fra musica d'avanguardia e riscoperta della tradizione. Un piccolo tassello ulteriore nella conoscenza si sta manifestando in questi anni in un programma di Carlo Benvenuto (musicista eclettico e persona entusiasta), che riguarda il settore delle Cantorie, vale a dire di quei gruppi di cantori che in numerose parrocchie accompagnano cerimonie religiose di vario genere. Ne parleremo questa sera alle ore 21 al "Bocciodromo" di Saint-Vincent con l'autore già citato, con il direttore della cantoria locale, Eligio Favre e con il maestro Efisio Blanc, musicista che ricopre anche la carica di responsabile della sezione musica sacra della Diocesi. Puntata successiva sulla musica valdostana, per così dire più leggera, sarà il 5 maggio stessa ora e stesso luogo, con il musicista e giornalista Gaetano Lo Presti e la cantante Maura Susanna. Chiacchiere e canzoni. Per me presentare serate del genere - l'ho già fatto qualche volta dall'inizio dell’anno - è un divertissement a favore di questa vecchia associazione culturale del paese, "Il Cenacolo", che tiene viva - con assoluta gratuità - attività culturali di vario genere, come il "Museo mineralogico". Attività meritoria in un paese, Saint-Vincent, che vive un triste declino per la decadenza del locale Casinò ed è diviso, senza per ora purtroppo avere speranze di riconciliazione, in gruppi e gruppetti contrapposti che ledono fortemente la coesione sociale e il senso di comunità. Le serate sembrano da questo punto di vista un'oasi di buonsenso. Ma torniamo alla musica. Come mai esiste questo animus? E' una questione di indole, di temperamento o è il territorio montano, con i suoi echi, le solitudini temperate da tante feste, che hanno fissato il desiderio - già così umano per tutti - di cantare e suonare? Esiste qualcosa che deriva dai lunghi inverni, dalle serate conviviali nelle stalle per cementare una logica di villaggio? Ho letto nel tempo varie storie e giustificazioni: resta la realtà, che certo in parte cambia. Un tempo non c'era da noi occasione di ritrovo che non finisse con qualche bel canto, oggi non sempre è così, trattandosi per altro di tradizioni basate sulla forza dell'oralità e dunque certe sorgenti sono destinate a seccare, se non opportunamente praticate. Ma inutile lagnarsi o pensare solo ad un passato radioso, tutto cambia e certi rapper di oggi forse inconsapevolmente proseguono, a loro modo, tradizioni antiche di racconto praticate da noi almeno sin dai tempi dei troubadour.