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19 apr 2016

Dietro al lessico familiare

di Luciano Caveri

E' ovvio che, oltre ad un ammasso di carne varia, siamo anzitutto un prodotto culturale, che plasma parte della nostra mente. Anzi, c'è un vecchio libro dell'etologo Danilo Mainardi che si chiama "L'animale culturale", teoria spiegata ancora così in un'intervista dell'autore: «No, noi non apprendiamo come tutti gli altri animali. L'uomo è l'unica specie vivente - probabilmente ce ne sono state altre del genere "Homo" che si sono poi estinte - che si è specializzata per diventare l'animale culturale. Per noi la cultura è tutto, mentre per le altre specie è solo una parte, un complemento alla sapienza della specie che sarebbe quella degli istinti». Ci pensavo, scherzosamente premetto, rispetto ad alcune espressioni che mi capita, come penso capiti a tutti voi, anche arrivano dal mio passato più profondo, spesso dall'infanzia, che - se ci si concentra - non è difficile associare a delle persone, parenti o amici, che ce le hanno date, affinché finissimo per tramandarle, come facciamo nella parte orale della nostra cultura.

«Attention Batallion!». Espressione per mettere ordine nel gruppo vociante di ragazzini indisciplinati, che spesso ho sentito in famiglia e chissà da quale ramo arriva, come ammonimento militaresco, che leggo usato pure - in versione italiana - dal celebre Totò; «Issa Baciccia»: espressione che ricordo veniva a noi tramandata, dalle parte materna ligure, di fronte ad un certo sforzo. Oggi capisco lo sfottò di fondo, scoprendo che nel teatro dialettale genovese (incluso quello di Gilberto Govi, che ne fu il fondatore), Baciccia è il nome di una maschera raffigurante un popolano buontempone e gaudente. Quindi - par di capire - che questo sfaticato dovesse darsi da fare; «Sotto il ponte di Baracca, c'è Ninin che fa la cacca»: filastrocca ereditaria, molto comune, di cui non ho trovato origine, se non che nel Comune di Sarezzano di Alessandria c'è veramente un ponte. Sarà quello? «Tre cacciatori andavano a caccia, Bocchino, Boccone, Boccaccia»: altra filastrocca per rendere quieti i bimbi piccoli per l'evidente ragione ipnotica dei versi, poi che ci sia un recondito significato erotico - come spesso capita nelle filastrocche - mi pare evidente; «Garibuja»: altro personaggio spesso evocato a uso bambini, ma anche per sfottere gli adulti! Trovo in un sito della Val Soana: "In piemontese c'è un modo proverbiale per indicare uno sciocco si dice che è "furb come Garibuja o Gariboja, Griboja, Ghërboja". Nell'antica tradizione popolare piemontese esisteva un personaggio di nome Garibuja che sovente veniva ricordato ai bambini per far capire loro che dovevano essere un po' più furbi. Si raccontava ai bambini che Garibuja era tanto furbo che per non farsi derubare i soldi li nascondeva nelle tasche delle altre persone, oppure per non farsi bagnare dalla pioggia si buttava nel torrente; «Essere pane e salame» o «Ridi che la mamma ha fatto gli gnocchi» o «Non vale un fico secco»: sono espressioni popolari, modo di dire che spesso mi tornano - e chi legge il blog lo sa - pezzi di saggezza che come certezze si aggirano nella nostra vita per assoluta semplicità e che i nostri figli subiscono nella logica della catena ereditaria; «Faso tuto mi»: quel che è bello è che esiste una sorta di koinè dei modi di dire, di cui ad un certo punto si perdono le radici, in questo caso venete per quegli sbruffoni che pensano di far tutto loro (sentivo da piccolo anche «Ganassa», che credo sia un lombardismo); «Mi fai venire la pecolla». Anche questo spuntava, sempre in logica lombardo-veneta, quando da bambino (e pure da ragazzo) viaggiavi al rallentatore. Così si spiega: "particolare stato di attesa, di tensione, in circostanze nelle quali l'attesa stessa non è piacevole ma viene "subita" dall'agente; quasi assimilabile ad una malattia dell'animo, la "pecòla" consiste, come indica anche un celebre motto popolare pedemontano, nella "pel dal cu che la se descola" (traduzione letterale: "pelle del culo che si scolla")". Non elegantissimo, ma efficace; «Touéno» o «Crétin»: insulti in francoprovenzale che impari subito in contatto con i locutori in patois e che suonano «Fé pa lo touéno» («non far lo stupido») o «T'ë fran crétin» («Sei un cretino»), che è un modo gentile, perché viene da cristiano, dando umanità alla definizione di chi, con un grande gozzo per via della mancanza di iodio, non era purtroppo, in passato, tutto finito; «Nano bagongo»: nell'epoca del "politicamente corretto" l'espressione fa orrore, ma persiste ancora oggi e si dice che l'origine, pur incerta, possa legarsi a "Ba Kango", nome di una tribù pigmea dell'Africa occidentale. Tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento risulterebbero aver lavorato nani con questo pseudonimo nei circhi "Guillaume", "Gatti e Manetti" e "Barnum"; «Sveglia bauchi» è l'ultima perla della scorrettezza verbale che spunta dal passato, visto che viene nome profeta biblico Abacuc, che nella tradizione popolare è rappresentato come un vecchio, e quindi divenuto simbolo della demenza senile (su cui c'e poco da ridere!) che può colpire negli ultimi anni di vita.

L'elenco potrebbe allungarsi di molto in un esercizio lessicale interessante e forse rivelatore per scoprire pezzettini di noi stessi.