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04 apr 2016

Montagna e migranti

di Luciano Caveri

Sul futuro dei territori di montagna ho da sempre le mie idee e seguo con interesse quelle degli altri, che talvolta mi stupiscono. Traggo la notizia, che risale allo scorso anno ma mai ne ho parlato qui, da "Mediablog": "Far tornare a vivere e popolare le montagne del nostro Paese con i migranti: ci sarebbe spazio per almeno trecentomila persone. «C'è l'esigenza di sostituire alle reazioni emotive una visione analitica della realtà - spiega Enrico Borghi, presidente dell'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo della montagna - Per questo abbiamo incaricato la "Fondazione Montagne Italia" di mappare il fenomeno dell'immigrazione nelle comunità montane: ne sono emersi due aspetti, che vanno considerati ai fini delle scelte politiche generali".

"Innanzitutto la realtà è ben lontana dall'idea di invasione - continua l'articolo - e ci sono ottimi esempi di integrazione con benefici per gli stessi paesi ospitanti, integrando e sostituendo lo svuotamento demografico nei processi di filiera, come i Sikh che nell'Appennino emiliano si occupano della produzione del "Parmigiano Reggiano", e nella manutenzione ambientale. L'afflusso demografico ha inoltre permesso di mantenere o ripristinare servizi alla comunità, come le scuole tenute aperte grazie all'arrivo dei figli degli immigrati»". Segue l'analisi più tecnica così articolata: "Ugo Baldini, della "Fondazione Montagne Italia", spiega i dati rilevati nella ricerca, svolta attraverso dati statistici esistenti. «Quasi un quinto degli stranieri in Italia - 889.602 persone su un totale di 5.014.437 - vive e lavora nelle aree montane. C'è una grande disomogeneità territoriale, nel centro nord vediamo picchi, in cui la presenza femminile supera a volte quella maschile». Primeggia in Piemonte la provincia di Asti, con l'11,29 per cento, in Lombardia è Pavia (10,58), in Emilia Romagna le aree appenniniche di Parma, Modena e Forlì (intorno all'11,5), in Toscana Siena e Grosseto (11,33 e 13,33 per cento). Viceversa, il sud Italia presenta un continuo spopolamento, che ha visto diminuire i giovani di 460mila unità in dieci anni. In queste zone anche l'immigrazione è molto minore, i dati della Campania ci danno percentuali sulla popolazione che vanno dal 4,49 della provincia di Caserta al circa 2,5 per cento nel beneventano e in Irpinia. «Il fenomeno migratorio va inserito nel contesto: ci sono zone montane che hanno sofferto di un forte depopolamento e perdita di capacità riproduttiva, che statisticamente è doppia per i migranti». La percentuale di stranieri sul totale della popolazione residente è mediamente del 8,25 per cento. Quella nelle zone montane è del 6,25. «Se la percentuale di stranieri in montagna crescesse in linea con la media nazionale - commenta Baldini - ci sarebbero circa 280mila persone in più da poter impiegare nella cura dei luoghi, nell'ospitalità e nei lavori agricoli»". Ha risposto così il montanaro occitano Mariano Allocco: "«La montagna capace di accogliere: i Comuni delle Terre Alte luogo di forte innovazione, anche grazie agli immigrati. Nostre comunità luogo di integrazione, welfare di esempio per l'Italia. I servizi il fronte più debole su cui intervenire». Una riflessione si impone su questa dichiarazione dell'onorevole Enrico Borghi, presidente "Uncem", rilasciata alla presentazione del "Rapporto Montagne Italia" alla Camera dei Deputati. L'attuale momento storico europeo ha evidenti quanto sottaciute similitudini con cosa succedeva nel quarto e quinto secolo quando un Occidente, con un esercito ormai mercenario, alle prese con un monoteismo antagonista e in piena crisi economica e istituzionale, cercava di gestire al meglio flussi migratori che, almeno all'inizio, non avevano ambizioni di conquista, ma cercavano solo di sopravvivere. Flussi di migranti che contribuirono al "declino e caduta" di un occidente che stava liquefacendosi e che non resse all'impatto. Ebbene, nessuna di queste genti si fermò sulle Alpi, che furono popolate solo secoli dopo quando signori illuminati garantirono "libertà e buone vianze" a coloro che sceglievano di farsi montanari. Ora che proprio "libertà e buone vianze" quassù sono sotto attacco, parlare delle Alpi come "luogo di forte innovazione anche grazie agli immigrati" è fuori luogo, fuori tempo e fuori dalla storia e per me denuncia approccio amatoriale o strumentale a questioni che meritano ben altra attenzione. Dire poi che sui monti ci sia un "welfare di esempio per l'Italia e che i servizi sono il fronte più debole su cui intervenire" è una contraddizione in termini. Se quassù il terziario è il punto su cui bisogna intervenire, come può essere il Welfare alpino, cuore del terziario, un esempio per l'Italia? Mai come ora le parole vanno maneggiate con cura, saggezza e guardando oltre ad orizzonti appoggiati a elezioni prossime e questo vale sia a livello istituzionale che sindacale. Quassù abbiamo bisogno di una rappresentanza sindacale forte, autorevole, libera ed indipendente". La polemica, insomma, pare vivace e mi pare che investa il futuro della montagna per questo tema e per molti altri. Da parte mia osservo che sul tema bisogna avere cautela e non mischiare migrazione già stanziale con quella imponente in arrivo e che arriverà. Sia perché il flusso dei migranti attuale è regolato da logiche di assegnazione territoriale del tutto casuali, che non tengono conto ad esempio di provenienza da territori che abbiano una qualche affinità con i luoghi di accoglienza. Oltretutto - lo abbiamo visto in Valle d'Aosta - chi lavora nel settore preferisce avere meno grane con migranti uomini soli piuttosto che famiglie e questo fa saltare, come già il punto precedente, certi ragionamenti e lo stesso vale per il fatto che i migranti vogliono andarsene in altri Paesi! Aggiungiamo che il Welfare in crisi colpisce più le zone montane che il resto dell'Italia nel nome della "spending review" ed esaltare il lavoro in certi settori - vedi agricoltura - sembra non tenere conto che comparti economici come questo sono in una crisi profondissima. Il dibattito resta sul punto forzatamente aperto e mi pare che ci voglia cautela con milioni di persone che premono sull'Europa.