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26 mar 2016

Amen

di Luciano Caveri

Mi ha sempre divertito - non avendone alcuna nozione scientifica seria - vedere come funzionano la memoria e i processi selettivi che ti fanno affiorare cose dal passato remoto e cancellano fatti più vicini o viceversa. Di certo c'è la constatazione che ci sono fatti o luoghi che ti accendono la lampadina e vanno a scovare il neurone o chi per lui con l'informazione accumulata, come capita quando abbiamo bisogno di un libro e lo andiamo a cercare in mezzo a centinaia di altri fra gli scaffali. Mi sono convinto, in modo empirico e sperimentandolo su me stesso, che ci sono cose che appaiono e scompaiono, seguendo un filo logico che immagino io stesso abbia inconsciamente adottato.

L'altro giorno mi è venuto in mente un personaggio di non so bene quale fase della mia vita - immagino piccolissimo - che finiva quasi tutti i suoi discorsi con un «Amen». Penso che fosse ai tempi delle primissime frequentazioni del catechismo e questo mi sbalestrava, perché quella formula mi sembrava solo adatta alla preghiera, mentre questo qui l'adoperava la parola in modo onnicomprensivo, come una specie di punto esclamativo per chiudere i suoi discorsi. Poi si questo "Amen", a dire la verità, l'ho lasciato lì e quella persona mi è tornata in mente, perché facendo una ricerca ho trovato per caso la voce della "Treccani" scritta una novantina di anni fa da Giuseppe Ricciotti, che fu un grande biblista. Così scriveva: "Parola ebraica ('āmēn), passata anche in altre lingue semitiche (siriaco, etiopico, ecc.), nelle versioni greche e latine del Vecchio Testamento e nei varî testi del Nuovo. Deriva dalla radice semitica "mn" col senso "sostenere, esser saldo", quindi "esser sicuro, certo, veritiero", ecc. Nella Bibbia è usato per lo più avverbialmente, sia per confermare ciò che altri ha detto («sicuro! certo!»), sia per dare enfasi alla propria asserzione («in verità! con sicurezza!»); qualche volta ha pure un significato ottativo, esprimendo il desiderio che avvenga ciò che si è detto. Quest'ultima accezione ha largamente diffuso l'impiego della parola nella liturgia giudaica sinagogale e in quelle cristiane, orientali, greche e latine, specialmente come conferma ottativa finale «così sia!». Sotto la forma araba "āmīn" il vocabolo è penetrato anche nell'uso liturgico musulmano. Dai Settanta fu tradotto per lo più "γένοιτο", e nelle versioni latine derivate da questa (come nei Salmi) «fiat, avvenga». Nel Nuovo Testamento si trova spesso "amen" (ἀμήη): ripetuto, con valore superlativo, nel IV Vangelo. Nei discorsi di Gesù, riferiti dai Vangeli, la frase «Αμὴν λέγω σοι (o ὑμῖν)» si traduce meglio: «In verità ti (o: vi) dico». Nell'Apocalisse (III, 14) "amen" diventa nome, ed è usato metaforicamente (ὁ "Αμήν, la verità" o "il veridico") per Gesù stesso. "Amen" assunse il valore di acclamazione, come "Alleluia". San Paolo (I Corinzî, XIV, 16; cfr. II Cor., I, 20) ci è lui stesso testimone dell'abitudine di rispondere "amen" alle preghiere. Nella liturgia antica lo si trova dopo la consacrazione, dopo la comunione, e dopo dossologie o altre preghiere liturgiche; fu usato, come formula conclusiva, in fine ai simboli di fede (e si può tradurre, come vuole Sant'Agostino, "verum est"), penetrò nelle formule funerarie e negli amuleti, tanto che si trova in numerose iscrizioni e papiri. Talvolta è seguito dalle lettere greche "kappa" e "thēta" il cui valore numerico, 99, corrisponde alla somma di quelli rappresentati dalle lettere "α" (1), "μ" (40), "η" (8), "γ" (50)". Trovo assolutamente interessante l’uso della semantica - cioè lo studio del significato delle parole in questo caso persino mischiato al mistero dei numeri - perché dimostra che anche le parole, come ciascuno di noi, hanno una memoria e la stratificazione talvolta lascia stupiti. Leggendo la spiegazione, mi venivano in mente le celebrazioni nelle chiese afroamericane in America - da me mai viste dal vivo ma spesso in televisione o nei film - dove le acclamazioni, magari tra un gospel e l'altro o durante le colorite omelie, fanno parte della celebrazione. Una modalità partecipativa che mi ha sempre incuriosito e che nella sua espressività corale somiglia al messaggio contenuto nella parola "Amen". Serve a evocare l'Aldilà, ma anche a cementare il senso di comunità nell'Aldiquà.