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17 mar 2016

La democrazia locale soffre

di Luciano Caveri

Gli anni purtroppo passano e il solo vantaggio è che questo consente di vedere, per chi se ne occupò alla Camera e poi in altri ruoli, come certe questioni si siano affermate e risolte. E il tempo trascorso consente di verificare se certe cose si siano sviluppate come si pensava che dovesse avvenire oppure no. La tecnica del feedback, cioè di vedere come abbia agito in concreto la legislazione è abbastanza rara nel nostro ordinamento, mentre sarebbe una buona pratica. Sono ormai più di vent'anni - era esattamente il 1993 - che esiste l'elezione diretta del sindaco in Italia. Il sistema, avendo quello stesso anno ottenuto la Valle d'Aosta competenza esclusiva sull'ordinamento degli Enti locali (scelta preziosa che ci ha tenuto al riparo da tante follie statali), venne esteso anche da noi su decisione del Consiglio Valle, che di recente ha poi differenziato il sistema, confermando nei Comuni medi e grandi il sistema di elezione diretta. La logica della scelta del primo cittadino da parte dei cittadini rispondeva all'esigenza di maggior stabilità contro le tante crisi politiche e autorevolezza perché l'elezione diretta offre una forza evidente nel poter governare. Per anni si è fatta retorica sulla bontà della scelta, alimentando una corrente di pensiero sul "partito dei Sindaci" in una logica pluralista, segnalando la capacità di azione concreta dei sindaci stessi, assurti a nuovo soggetto politico. Matteo Renzi ci ha giocato molto su questa concretezza rispetto alla palude parlamentare. E lo ha fatto anche in funzione anti-regionalista, e oggi maramaldeggia sul suo ruolo a Palazzo Chigi di sindaco d'Italia.

In realtà il suo totale disinteresse per la democrazia locale è evidente nel suo disegno centralista e statalista con politiche del rubinetto verso i Comuni, utilizzati anche - nella logica del divide et impera - per sparare contro le Regioni, che più sono deboli e più il Premier conta, perseguendo una scelta che se non è autoritaria poco ci manca. Il caos in corso nelle grandi città dove si vota per le elezioni comunali - tra polemiche per le candidature e alcune primarie del Partito Democratico da incubo - dimostra che questa elezione diretta non ha solo "pro" ma anche dei "contro". Accende molte ambizioni e, in caso di successo, rende ipertrofico l'ego di alcuni sindaci e potrei anche citare casi valdostani. Si va da giovani sindaci che spavaldamente prendono gran facciate a sindaci anziani che occupano la scena come vecchi tromboni. Par di capire che non ci si interroghi abbastanza sull'Autonomia comunale e il suo ruolo, specie in una Valle d'Aosta dove il federalismo dovrebbe essere una bussola e i tagli finanziari in atto dimostrano come il denaro che deve arrivare dalla Regione possa diventare un guinzaglio per i Comuni (per non dire della tassazione comunale riversata a Roma!). Eppure non si sfugge al fatto che una democrazia compiuta vede nell'ente locale il punto di aggregazione e di prossimità su cui si costruisce la rete che fonda gli altri livelli di governo, salendo gradualmente fino alla dimensione europea. Ma qualcosa non sta funzionando e sembra che molte scelte - comprese quelle delicate di aggregazione dei molti Comuni esistenti - avvengano di questi tempi più agitando il fantasma dei risparmi nella spesa pubblica che attraverso un disegno ragionevole di revisione dell'esistente. Insomma: la discussione langue. L'unica cosa certa è che la riforma costituzionale di Renzi svolta verso un'Italia sempre più centralista.