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17 feb 2016

Ciao, coriandoli

di Luciano Caveri

Il Carnevale di quest'anno è stato, nei momenti più importanti, avversato dalla pioggia. Bisogna, per altro, prenderla con spirito - anche se ancora adesso pago l'essere stato inzuppato a puntino - perché "a Carnevale ogni scherzo vale" e devo dire che questa stagione invernale da dimenticare è stato davvero un scherzo climatico di non poco conto. C'è da scommettere che il 2016 parteciperà in toto al solito premio dell'anno più caldo a dimostrazione che c'è poco da scherzare con questo riscaldamento in corso che muterà profondamente anche le nostre montagne. Ma, a dir la verità, in queste ore - e di fronte ai problemi mondiali farò ridere i polli, ma certo qui non posso solo annotare fatti grandi e perlopiù negativi - combatto contro i coriandoli. L'esordio al Carnevale di Verrès è stata una graziosa bambina, strategicamente posizionata sulle spalle del papà, che mi ha versato addosso un intero sacchetto di coriandoli.

Solo un afflato di self control ha trattenuto le mie imprecazioni, che potevano farsi persino più suggestive per il lancio contestuale di quel getto colorato delle maledette bombolette che noi genitori comperiamo ai figli per poi pentircene. Ma quel liquido sparisce con facilità, mentre lui - il coriandolo - non muore mai, come posso testimoniare dopo che si sono poi sommati altri due Carnevali (Champdepraz e Pont-Saint-Martin) con numerosi lanci - anche dai carri allegorici - di questi impicci cartacei che ora ritrovo ovunque, malgrado tutte le operazioni necessarie di disinfestazione. Per cui alla fine - traendolo dal pozzo di San Patrizio di Internet sono andato, ossessionato dai coriandoli che spuntano come ragni in casa, dentro la macchina, sotto le scarpe, a vedere chi sia il genio che ci ha ammorbato con questa scoperta (il prossimo anno indagherò sulle "stelle filanti"). Ebbene, sappiate che in italiano alla parola "coriandolo" corrispondono tre significati differenti: uno si riferisce alla pianta i cui fiori sono largamente impiegati ed apprezzati in cucina ed in erboristeria, un altro ai confetti di zucchero contenenti un seme di coriandolo e l'ultimo descrive i dischetti di carta colorata usati a Carnevale. Nel periodo rinascimentale quando in Italia, durante alcuni festeggiamenti, come matrimoni ed a Carnevale, si lanciavano i confetti, chiamandolo appunto coriandoli. Nella seconda metà del XIX secolo non vengono più usati i dolcetti, bensì delle palline di carta colorata e gesso. Poco più tardi, nel 1875 circa, è l'ingegnere Enrico Mangili ad avere l'intuizione di usare i dischetti di scarto dei fogli bucati per le lettiere dei bachi di seta come elementi colorati da lanciare in aria a Carnevale. Proprietario di una filanda a Crescenzago, nel milanese, Mangili decide di dare nuova vita agli scarti e fa provare i suoi piccolissimi coriandoli al Carnevale di Milano. L'atmosfera creata dal lancio dei dischetti di carta è molto suggestiva e pian piano si diffonde e diventa tradizione. Qui torna utile un articolo di tre anni fa tratto da "Il Mattino di Padova", sapendo quanto la stampa provinciale sia pozzo di notizie curiose: "La casa dove nascono i coriandoli sta nella zona industriale di Porcellengo di Paese, pochi chilometri fuori Treviso. Si chiama "Karnaval", ma in realtà le stelle filanti, i cappellini e le trombette ha smesso di farle da un pezzo, sotto il peso della globalizzazione e della solita Cina. Da nicchia che era, è diventata impresa di supernicchia: qui si fanno solo coriandoli, e si riesce a fatturare dai 400 ai 600mila euro l'anno. Il che sarebbe già abbastanza curioso, se non ci fosse anche l'in più: il titolare dell'azienda è il signor Franco Carnevale, al quale il destino scritto nel nome aveva tracciato una strada maestra anche se lui l'ha presa un po' alla larga. Da Cosenza ed anzi San Leucio dove è nato, è arrivato in Veneto con l'uniforme di sottufficiale dell'Aeronautica Militare nel 1961; nel 1982 ha ripiegato le ali e si è messo a lavorare con la "Cartotecnica" di Fontane, che allora era leader nella produzione di coriandoli. Poco dopo, il leader era già lui, con la sua azienda". Più avanti si legge ancora di... Carnevale, nomen omen: "Per fare i coriandoli, macchine in parte progettate da lui stesso e realizzate con l'aiuto di un amico esperto in meccanica (non ci può essere un gran mercato di macchinari di questo tipo) sminuzzano e mescolano due tipi di carta: «Mica è buona tutta. Noi usiamo solo rese di vecchi manifesti stampati da due tipografie romane di cui conosciamo perfettamente la qualità del prodotto, e rotoli di tipografia fatti apposta, nei classici rosa, verde e viola, colori un po' spenti perché costano meno». Dalla trasformazione in coriandoli è capitato che venissero salvati manifesti-capolavoro, tipo le locandine originali di "Via col vento" o "Vacanze Romane", che sono appese ai muri dell'ufficio. «Il segreto del nostro prodotto è la qualità. Sminuzzando la carta, si produce molta polvere. Ho progettato una macchina che ripulisce i coriandoli, separa la polvere dalla carta e restituisce un prodotto pulito». E perfetto secondo normativa: perché ci sono regole UE per i coriandoli, guai a scherzare. Se finiscono in bocca e non sono a norma, possono anche soffocare". Ma come si può finire, se non con una filastrocca in tema di Gianni Rodari? "Viva i coriandoli di Carnevale, bombe di carta che non fan male! Van per le strade in gaia compagnia i guerrieri dell'allegria: si sparano in faccia risate scacciapensieri, si fanno prigionieri con le stelle filanti colorate. Non servono infermieri perché i feriti guariscono con una caramella. Guida l'assalto, a passo di tarantella, il generale in capo Pulcinella. Cessata la battaglia, tutti a nanna. Sul guanciale spicca come una medaglia un coriandolo di Carnevale".