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12 feb 2016

Un bel tacer, mai scritto fu?

di Luciano Caveri

Frullano nella testa, come farfalle fastidiose, certi pensieri che alla fine si depositano e vien voglia di metterli nero su bianco, perché almeno restino cristallizzati. ammesso che - e questo è il tema di oggi - questa sia una scelta giusta e coerente e soprattutto non controproducente. Lo dico invocando sin da subito la clemenza della Corte. Si deve a Iacopo Badoer (1602 – 1654), librettista e poeta italiano, il celebre verso «Un bel tacer mai scritto fu», tratto da "Il ritorno d'Ulisse", che può essere meglio esplicitata con «la bellezza del saper tacere non è mai stata lodata abbastanza».

Lungo questo filone ci sono altre possibilità, tipo il sintetico «Il silenzio è una fonte di grande forza» (Lao Tzu) o il poetico: «Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare, il silenzio dei boschi prima che sorga il vento di primavera. Il silenzio di un grande amore, il silenzio di una profonda pace dell'anima Il silenzio tra padre e figlio e il silenzio dei vecchi carichi di saggezza» (Edgar Lee Masters)

Il tema è interessante e in fondo attiene anche ai post che scrivo ormai da tanti anni su questo blog e prima annotavo sui giornali sotto forma di rubrica. Certo qui il ritmo quotidiano (e settimanale per il "Calepin") fa tremare i polsi. Non sempre, infatti, il tema da trattare viene di getto e dunque tocca pensarci e costruire il pezzo. Ma l'appuntamento è per me un imperativo categorico e dunque non lo manco mai e mi fa piacere sapere che ci sono persone che lo seguono con continuità. Sono soddisfazioni. Per altro, vale anche un secondo detto, che qui riporto nella definizione sintetica ed efficace de "La Treccani": "«verba volant, scripta manent» (tradotto dal latino «le parole volano, gli scritti rimangono»). Antico proverbio (enunciato anche nella forma inversa: «scripta manent, verba volant»), con cui si afferma sia la necessità di far documentare per scritto i proprî diritti (equivale in questo caso al proverbio popolare «carta canta e villan dorme»), o più genericamente l'importanza delle testimonianze e dei documenti scritti, sia, al contrario, l'opportunità di non mettere su carta ciò che un giorno potrebbe esserci dannoso". Interessante quest'ultima definizione. Farò bene a scrivere o converrebbe tacere? Per altro le parole ormai non sono solo più imprigionate dallo scritto, ma i video oggi congelano nel tempo in egual modo pensieri e giudizi e mi riferisco - solo per fare un esempio - ai comizi filmati che inchiodano ogni politico all'espressione già avvenuta e diventata testimonianza delle proprie convinzioni. Sarà pur vero - proseguendo lungo il cammino dei detti - che «Solo i morti e gli stupidi non cambiano mai opinione» (lo ha detto lo scrittore americano James Russell Lowell), ma esistono limiti credibili per evitare che il cambio sia così radicale da essere incredibile, dimostrandosi un autogol. Per questo rivendico la libertà di scrivere e penso che troppi silenzi in politica - chi non dice, non si esprime e se lo fa lo fa in forma stitica se non criptica - siano un male che nasconde malaffari, furberie e pure le pochezze. Per cui mi riconosco in quel che dice lo scrittore francese Albert Bensoussan: «La parole est nomade, aérienne, supérieure, l'écriture la fige, la ramène à terre, l'emprisonne. Ainsi cette historiette arabe: "Qu'est-ce que la parole ? Demande l'un Un vent qui passe, dit le sage Et qui peut l'enchaîner ? Interroge l'autre L'écriture"».