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25 dic 2015

La Televisione del cibo

di Luciano Caveri

Non so se davvero la televisione sia o no lo specchio della vita, in cui si riflettono tante cose, che finiscono in fondo per essere modificate in modo grottesco, come capita vedendo la propria immagine negli specchi deformanti di un "Luna Park". Certo è che, basandosi il successo di un programma televisivo, sulla dura legge degli ascolti - ammesso certo che i sistemi di rilevamento siano credibili e non penso sia sempre così - questo significa che la spietata legge della domanda e dell'offerta regolamenta anche il mercato televisivo. Per cui è inutile fare troppo gli schizzinosi, quando si discute fra amici di programmi più o meno "trash" (cioè spazzatura), perché certe discussioni finiscono per somigliare ai grandi interrogativi su perché la democrazia generi anche fra gli eletti dei corrotti o dei cretini, trattandosi di libera scelta di elettori che adoperano per farsi del male degli strumenti legittimi. Idem per i telespettatori ed è inutile fasciarsi la testa o ululare alla Luna, perché così è, anche se non ci piace.

Ci riflettevo rispetto all'avvicinarsi del periodo festivo e con Natale arriva un momento in cui il mangiare e il bere dominano la scena fra pranzi e cene con la scusa di farsi gli auguri e anche, più nobilmente per i giorni canonici, per rispettare la tradizione. Anche se, a pensare alla mia infanzia, gli eccessi gastronomici erano pochi e straordinari acuti e non la musica ossessiva che oggi martella i nostri stomaci. Basta visitare una qualunque ipermercato per chiedersi quale esercito di cavallette si occuperà di tutto il ben di dio che si trova in vendita e la televisione prende atto dei consumi e li stimola. E anche in tempo di crisi si può rinunciare a tutto, ma per la tavola si lesina il meno possibile e certo non mi sfugge in questo l'aspetto consolatorio in un mondo popolato da paure e da mostri di ogni fatta. Si rafforza dunque, sotto qualunque angolazione possibile, quanto già è diventato un assunto: la cucina in televisione deborda in una sorta di bulimia mediatica che con opulenza ci invade. Dovunque spunta uno chef o un esperto di enogastronomia, si propongono menù degni di Rabelais e sembriamo affetti da una fame atavica. Come ce l'avevano le nostre nonne (e qualche pezzettino pure le mamme), la cui grande preoccupazione è sempre stata «Hai mangiato?», anche se in quello stesso momento la vita ti presentava chissà quali terribili prove. Ma la pancia vuota del passato riempiva i pensieri di chi ti voleva bene, come un riflesso automatico di quando il mangiare era un problema quotidiano. Problema purtroppo ancora ben presente in quel mondo parallelo che è il "Quarto Mondo", dolente e povero, che sempre grazie o per colpa della televisione - forza dei satelliti e di Internet - osserva il nostro "Paese del Bengodi", più di quanto alla fine lo sia realmente, specie in questi anni complicati. Mi viene alla memoria, sempre guardando certi programmi di cucina, che ormai durano ore e ci ingozzano passando da un manicaretto all'altro, quanto descritto dalla "Cena Trimalchionis" del "Satyricon" di Petronio, con una cena-spettacolo all'insegna della grande abbuffata e dei discorsi sciocchi. Trimalcione è l'emblema del "servo arricchito", cioè di chi è riuscito ad accumulare notevoli ricchezze, ma non sa come usarle (se non per esibirsi di fronte ai suoi ospiti) e che si dà arie da poeta, pur essendo rozzo e ignorante. E' fantastico constatare come di persone così se ne possano incontrare davvero e potrei citarne con divertimento qualcuno nella Valle d'Aosta contemporanea, anche se molti sono finiti in bancarotta. Meriteranno un brindisi sin dalle prossime ore, almeno con un "Alka Seltzer", per limitare gli esiti delle probabili crapule.