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11 dic 2015

Il passaggio da un secolo all'altro

di Luciano Caveri

Siamo parte di un flusso, che prevede un nostro passaggio, che è fatto dalla grande Storia che ci sovrasta e che si interseca con la storia dei popoli e anche delle famiglie. Mi spiace molto che mio nonno, René Caveri, sia morto dieci anni prima che io nascessi e dunque che potessi conoscerlo. Di lui ho solo visto delle fotografie, compresa una con Benito Mussolini, quando era Prefetto di Rovigo. Classe 1866, dopo una brillante carriera di funzionario dello Stato, era stato posto in pensione anticipata per ordine pare del Duce in persona perché - questa la sostanza - in dissenso con il regime per le sue idee antifasciste, ben note anche ad Emile Chanoux che ne parla nei suoi scritti. Fu amministratore dell'Ospedale Mauriziano di Aosta e il vecchio aostano Laurent Ferretti mi raccontò che i commercianti del Borgo regolavano l'ora della sua uscita di casa in via sant'Anselmo per la cronometrica precisione. Il suo testamento è un esempio di affetto e di razionalità. Mi sarebbe piaciuto conoscerlo per capire che cosa pensasse - da uomo colto, come risulta dalle letture della sua biblioteca spesso con appunti - del vivere a cavallo fra due secoli, come capitò a lui e capita oggi a me.

Capisco che la ripartizione del tempo sia un fatto umano e come tale aprire e chiudere un secolo sia una scelta che non prevede che allo scoccare della Mezzanotte di passaggio ci sia un taglio chirurgico che sancisce un prima o un poi. Tuttavia è anche vero che, per quanto arbitrari, i cento anni sono una misura comoda da utilizzare per un'umanità che deve avere punti di riferimento precisi e che rappresentino un punto e a capo utile per le persone e il loro modo di pensare. Questa convenzione alla fine vale anche per gli storici, che hanno bisogno di formule riassuntive per raccontare il fluire del tempo e degli avvenimenti. E il caso - tema di grande attualità con l'Anno Santo straordinario voluto da Papa Francesco - del "Giubileo", inventato da Bonifacio VIII a cavallo fra il 1299 e il 1300 nel solito clima di inquietudine di questi passaggi temporali. Ma torniamo al nostro passaggio di secolo. Ancora oggi per dire di una cosa vecchia o sorpassata adoperiamo il termine "ottocentesco", ma ormai siamo pronti per usare nella stessa maniera "novecentesco". Così come risulta ormai ampiamente esorcizzato quel 2000, tondo tondo, che ha sancito non solo il cambio di secolo ma anche di millennio, che evoca quel fiume d'inchiostro attorno a quel «Mille, e non più mille» preso dall'Apocalisse. Ma se ripenso a quel countdown nella notte del 31 dicembre del 1999, devo dire che in chiusura del "secolo breve" (come lo definì non senza amarezza lo storico inglese Eric Hobsbawm) si sperava che il passaggio chiudesse ferite ed aprisse ad un periodo straordinario. Ed invece è emersa una crisi economica mondiale pesantissima, un crescente squilibrio nord-sud, guerre feroci e certi orrori come l'islamismo radicale, cui si accompagnano oggi le conseguenze pericolose dei cambiamenti climatici e a fenomeni di globalizzazione - con inquietudini annesse - come il mondo digitale. Insomma: uno scenario assai poco rassicurante che ha spento illusioni positiviste e l'immagine di una Terra che avrebbe trovato ragioni di armonia e di benessere. Per questo mi sarebbe piaciuto capire qualcosa da chi aveva vissuto due Guerre Mondiali, il passaggio fra l'Italia liberale e il fascismo per poi tornare alla democrazia, vivendo già scoperte scientifiche e tecnologiche straordinarie che aveva cambiato il mondo. Sarebbe di certo sortito qualche consiglio utile.