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08 dic 2015

Natale e culture

di Luciano Caveri

E' vero che la simbolistica del Natale è un "patchwork" (in italiano sarebbe "lavoro con le pezze"), cioè un manufatto che consiste nell'unione, tramite cucitura, di diverse parti di tessuto. Sacro e profano, cristiano e pagano, consumistico ed affettivo si incrociano in qualcosa di inestricabile, che poi rende affascinante questo miscuglio e interessante pure risalire, radice per radice, alle ragioni profonde di certi usi e costumi. E come tutto anche il Natale con i suoi annessi e connessi muta nel tempo, inteso come passare dei secoli e degli anni, e poi - nell'orizzonte più limitato della nostra vita - cambia lo scenario a seconda dell'età.

Così mi rivedo intento alla scrittura della letterina in quegli anni Sessanta in cui i regali di Natale spiccavano davvero, mentre oggi ogni momento è buono per un regalo ai nostri bambini, meno concentrati sul quel risveglio la mattina del 25 dicembre, mentre per noi proprio quel giorno - a conclusione dell'Avvento - era davvero un trattenere il respiro. Tra l'altro io scrivevo a Gesù Bambino, perché Babbo Natale c'era, ma non aveva ancora quella forza mediatica che oggi gli assicura la scrittura della letterina fin su al Polo Nord. Il mio piccolo Alexis l'ha scritta qualche giorno fa con un elenco speranzoso dei regali che verranno e bisogna, almeno finché non scoprirà come funzionano le cose, che nei dialoghi fra genitori e con parenti e amici sui regali si sia cauti come "007" per evitare che le sue orecchie fini incomincino a captare la discrasia fra Babbo Natale e chi i regali li porta davvero. Un tempo poi a scuola non c'erano tutti questi can can sui riti del Natale, che oggi invece - con scuole multiculturali con diverse religioni possibili - sembrano porre un problema di politically correct che va preso sul serio per il rispetto che si deve a tutti e a ciascuno, ma per favore evitiamo che diventi un caso di Stato un canto cristiano, un presepe od un albero di Natale. Non se ne può dei rispettivi integralismi e di chi, con le proprie convinzioni religiose, passa il tempo a fare le pulci, senza rendersi conto che ci può e ci deve essere spazio per tutti. Evitando guerricciole di religione su aspetti significativi ma non macroscopici, in un mondo nel quale drammi e tragedie hanno una ben diversa portata. Sarà pur vero che certe storie iniziano dalle piccole cose, ma bisogna distinguere tra travi e pagliuzze negli occhi. Si sa dove si comincia ma non si sa dove si va a finire. Per cui, per quel che mi riguarda, io rispetto ogni credo, nel limite del lecito, ma non posso neanche pensare che il mio patrimonio di tradizioni debba essere rottamato come se nulla fosse. Si tratta di capirsi e rispettarsi reciprocamente con quel margine di buonsenso, senza il quale si inizia a precipitare in contenziosi sgradevoli che alimentano solo odi e incomprensioni. Questo non può e non deve avvenire in un momento nel quale basta poco per peggiorare un quadro già precario. Pensiamo alla Francia, dove la laicità dello Stato è un principio inderogabile, e alla discussione su certe questioni importanti, come le mense scolastiche e la possibilità o meno di offrire menu differenziati per i bambini musulmani o il tema sulla liceità o meno di impedire - come ha confermato di recente la Corte di Strasburgo, dando ragione alla Francia - di portare il velo da parte di impiegati pubblici, cui è impedito nel lavoro di esibire simboli macroscopici di appartenenza religiosa. L'etnocentrismo è una brutta bestia e fa dividere il mondo - a chi ci casca - fra buoni e cattivi, amici e nemici, mentre esiste una giusta considerazione di sé, che serve a tenere viva la propria identità e proporla al confronto con gli altri, che però a loro volta non devono essere accecati dal pensiero che la loro cultura sia meglio della tua, altrimenti di che cosa si discuterebbe? Per me vale il Claude Lévi-Strauss di "Race et Histoire": «Aucune culture n'est seule; elle est toujours donnée en coalition avec d'autres cultures, et c'est cela qui lui permet d'édifier des séries cumulatives». Scambio, arricchimento, crescita, ma non percorribile, beninteso, con chi vuole morti la mia famiglia, la mia comunità e me stesso, nel solco della violenta distruzione dei valori universali di libertà.