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11 nov 2015

Grillo critica l'"Italia Frankenstein"

di Luciano Caveri

Nei confronti di Beppe Grillo si possono avere vari sentimenti. Il mio è sempre stato quello di curiosità verso il personaggio. Appartengo alla generazione che lo ha seguito, fra la fine degli anni Settanta e la seconda metà degli anni Ottanta, per la sua verve di comico irresistibile e inventore di "tic" linguistici adoperati dai giovani di allora. Così come, negli anni Novanta, era risultato evidente il suo cambio di marcia più nel ruolo del paladino dei cittadini-consumatori che ancora nella politica vera e propria. Ero finito anch'io, così mi aveva raccontato un amico che lo aveva visto in uno spettacolo nel 1991, fra quelli presi per il sedere nel suo spettacolo, perché in quell'anno avevo parlato in francese alla Camera dei deputati, interrotto dal presidente di turno.

Poi Grillo, con alcune tappe di avvicinamento precedenti, diede vita sei anni fa al "Movimento 5 stelle" di cui è ancora leader, malgrado periodicamente abbia annunciato qualche suo passo indietro. Una scelta di essere nell'agone politico che ha avuto diversi momenti: oggi il suo partito sembra avere di nuovo il vento in poppa nei sondaggi. Ho trovato interessante quanto ha scritto in questi giorni Grillo sull'ormai evidente progetto politico di Matteo Renzi, esplicitato persino dalla sua egeria che si occupa di riforme (e ormai di tutto il resto, come autentico "numero 2" del Governo), Maria Elena Boschi, e cioè - portata a casa la riforma costituzionale che crea una svolta autoritaria centralista e antiregionalista - accorpare le Regioni esistenti, svuotandole ancora di più grazie al nuovo assetto istituzionale che, con la Camera controllata grazie al nuovo sistema di voto e la morte politica del Senato, consentirà riforme costituzionali in un batter d'occhio. Poi, se il disegno proseguirà, la svolta peronista definitiva sarà il "Partito della Nazione". Ma dicevo di Grillo e di quanto ha scritto sul suo famoso blog: "Nuove Regioni. E' in arrivo la riforma che dovrebbe accorpare Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta; Marche, Abruzzo e Molise; Veneto, Friuli-Venezia-Giulia e Trentino-Alto Adige. All'Emilia Romagna si aggiungerebbe la provincia di Pesaro, quindi, tutte insieme, Toscana, Umbria e provincia di Viterbo. Il Lazio diventerebbe un distretto con il nome di Roma Capitale, la Basilicata verrebbe soppressa e la provincia di Matera assorbita dalla Puglia. Intoccate Lombardia, Calabria, Sicilia e Sardegna. Da venti Regioni si passerebbe a dodici, otto sarebbero cancellate. Dalle tre macroregioni di migliana/leghista memoria alle dodici microregioni di oggi. Vediamo alcuni pro e contro. Pro che ci saranno meno cariche da spartirsi (ma non è detto...) e meno Regioni con la popolazione di un quartiere di una grande città. Contro che il cittadino sarà ancora meno in grado di controllare e giudicare la spesa pubblica a livello locale (a iniziare ovviamente dalla sanità). Contro che ci sarà un caos amministrativo enorme nell'accorpare diverse Regioni. C'è poi il sempiterno problema delle Regioni autonome con privilegi fiscali negati alle altre (e quindi Regioni con maggiore capacità di spesa sul territorio). Se una Regione autonoma viene accorpata ad altre non autonome trasmette l'autonomia o la perde? In tutti e due i casi parte dei cittadini potrebbe giustamente lamentarsi. Se si lasciasse la decisione agli italiani le nuove Regioni avrebbero una dimensione internazionale. La Lombardia opterebbe per la Svizzera. La Valle d'Aosta per la Francia, il Trentino-Alto-Adige per l'Austria e la Sicilia per diventare la 51esima stella degli Stati Uniti. L'Italia preunitaria con le sue divisioni era molto più unita di quella attuale. Da questo dato bisognerebbe partire, non da esperimenti degni di Frankenstein. Vanno recuperate le culture e le identità locali e le ragioni dello stare insieme in un'unica nazione. Le tasse a livello comunale e regionale dovrebbero essere oggetto di verifica di spesa da parte dei contribuenti, avviare quindi un bilancio partecipato locale. Un esempio: Milano, Torino sono tra le città più indebitate d'Italia per miliardi di euro. Sono città del Nord sempre citato come esempio a sproposito anche in questi giorni con i famosi anticorpi contrapposti a Roma. Milanesi e torinesi si trovano indebitati senza sapere nulla, senza essere stati consultati, trattati come sudditi. L'Italia comunque la si ricomponga, montando e rimontando le Regioni come un "Lego", è ancora monarchica. Siamo sudditi in una repubblica democratica. Resta una domanda finale: "Questa riforma a cosa serve?"». L'analisi di questi commenti alla proposta di accorpamenti regionali, che ha in un comizio definita un'"Italia Frankenstein", cioè un mostro, potrebbe essere oggetto di interessanti discussioni. Certo che due osservazioni sono singolari. La prima è proprio il fatto che gli accorpamenti saranno al ribasso e dunque chi l'Autonomia speciale ce l'ha non la porta in dote agli altri, ma la perde per sé e non la "esporta" per gli altri. La seconda è che si va avanti così opererà davvero una spinta centrifuga e cioè il venir meno della pattuizione politica, che nel caso della Valle d'Aosta è all'origine dell'attuale forma autonomistica, rende tutti liberi rispetto al futuro di uno Stato che decidesse - e siamo già in cammino - di cancellare le libertà e la democrazia locali con un disegno sopraffattore e autocratico. Far sparire unilateralmente la Valle d'Aosta/Vallée d'Aoste dalla carta geografica politica sarebbe un'azione criminale.