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10 nov 2015

La Catalogna e il suo sogno di libertà

di Luciano Caveri

La data del 9 novembre 2015, comunque finirà la storia, sarà per la Catalogna una giornata da ricordare. Infatti il Parlamento della Comunità autonoma ha approvato una dichiarazione di indipendenza da Madrid. I partiti secessionisti, che da settembre hanno la maggioranza all'Assemblea elettiva di Barcellona , hanno infatti - come per altro scontato sulla base del voto - avallato con 72 voti contro 63 una risoluzione che avvia il processo di "creazione di uno Stato Catalano indipendente in forma di Repubblica". Facile immaginare la reazione rabbiosa di Madrid, che di fatto in questi anni - con l'utilizzo della Costituzione vigente in Spagna, così come interpretata dai giudici costituzionali - sta facendo il diavolo a quattro per evitare che ci sia un referendum. Onore, invece, al Regno Unito - dove non esiste una Costituzione scritta e rigida - che ha consentito agli scozzesi, anche se ha vinto il "no" alla secessione, di potersi esprimere.

Contro chi in Catalogna vuole votare si sono espressi in tanti, verrebbe da dire in troppi. Tipo alcuni esponenti dell'Unione europea minacciosi sul fatto che in caso di indipendenza le porte in Europa sarebbero chiuse. Genere Barack Obama, Presidente degli Stati Uniti, che si facesse i fatti propri. Oppure come alcuni rappresentanti delle "Nazioni Unite" che paiono spingere sul fatto che il principio universale di autodeterminazione non varrebbe nel caso della Catalogna. Capisco come, visto dal Palazzo di vetro, una scelta catalana di un certo genere potrebbe essere un "effetto domino" sullo scacchiere mondiale a beneficio di tutti quei popoli che nel mondo vivono compressi in diversi Stati. Ma gli Stati, in Europa come nel mondo, tendono ovviamente, come capita anche agli organismi politici, a voler mantenere sé stessi e non aprire a quelle istanze di libertà che invece i popoli legittimamente manifestano. Nel caso della Catalogna non è un bel fiore spuntato dal nulla, ma un lungo processo di maturazione politica di un pieno soddisfacimento della propria identità politica, pur - come dicevo - osteggiata dagli uni e dagli altri e la strada verso un referendum sarà lastricata di difficoltà. Eppure la Spagna, che pure ha vissuto la terribile stagione della violenza nei Paesi Baschi, laddove la richiesta di indipendenza è andato a braccetto con una logica di violenza inaccettabile, dovrebbe ringraziare i catalani per la loro scelta pacifica e democratica. Rispondere oggi con logiche giuridiche, fatte di impedimenti alla libertà di voto, getterebbe davvero della benzina sul fuoco in una situazione oggi estremamente tranquilla e che permetterebbe una transizione serena e senza tensioni. C'è da augurarsi che a Bruxelles, in primis il Parlamento europeo, nessuno faccia le orecchie da mercante e ci siano tutte le iniziative politiche e diplomatiche di persuasione morale verso la Spagna, affinché permetta quanto il buonsenso, prima ancora che il Diritto, deve consentire e cioè un voto libero che permetta di effettuare una scelta, che non ha caratteristiche terribili per Madrid. Ho avuto per anni dei rapporti con gli autonomisti catalani ed è un ambiente che conosco e con il quale mi è capitato di dialogare a lungo. Il loro ragionamento era ed è assai interessante: l'Autonomia speciale di cui oggi godono è e resta troppo nelle mani della capricciosità della Spagna, come oggi si vede benissimo in Italia per la Valle d'Aosta. Il federalismo, che molti valdostani conoscono e apprezzano, era considerata una carta impossibile da giocare in Spagna per tutta una serie di ragioni storiche e culturali. Per cui, quale autodifesa e come sviluppo logico di anni di autonomia, la strada prescelta con il voto di oggi indica nella sovranità dei catalani la possibilità da sfruttare. Vedremo ora gli eventi, ben sapendo che i centralisti negli Stati e in Europa cercheranno di fare comunella e impedire quanto non andrebbe assolutamente impedito: un pronunciamento chiaro e democratico che dia certezze agli uni e agli altri.