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30 ott 2015

Dell'Europa va difesa l'Idea

di Luciano Caveri

Mi capita spesso - e penso lo facciano tutti - di riflettere sui cicli della propria vita e sui periodi che l'hanno caratterizzata. Io ho vissuto, per mia fortuna e per la bontà degli elettori, un lungo periodo di attività europea, che ha coperto almeno una dozzina di anni. Una full immersion interessantissima, che mi ha formato molto e tento talvolta di trasmettere qualcosa di quello che ho visto e imparato. Per questa attività spesso sono stato chiamato a parlare di Europa con un uditorio diverso, secondo le circostanze. Dai bimbi delle elementari - i più difficili da "conquistare" nell'eloquio - agli studenti dell'Università. Parlare in pubblico mi piace ed ho la fortuna di avere una propensione a farlo, ma certo - questo è essenziale per chi voglia, come si dice, andare "a braccio" - bisogna conoscere a menadito le cose e comunque prepararsi, perché spesso quel che appare essere poi naturalezza deriva da esercizio.

Ma proprio sull'Europa è facile avvertire come l’aria sia cambiata moltissimo. Per carità, già in passato mi erano capite situazioni delicate, come quando nel maggio del 2005, in piena campagna referendaria francese sul "Trattato costituzionale" (poi bocciato con conseguenze pesanti) mi trovai come assessore con la delega agli Affari europei con l'allora ministro dell'éducation nationale francese, François Fillon, a Saint-Jean-de-Maurienne. Ho trovato un mio passaggio di quel giorno, che - se mi consentite l'autocitazione - suonava così: «On ne doit pas avoir peur de la nouvelle Constitution européenne. C'est la seule possibilité pour éviter un blocage du processus d'intégration européenne. C'est pour cette raison que l’Union regarde à la France pour comprendre le résultat du référendum». Andò come andò e cioè male e ci si mise con i passaggi successivi una sorta di pezza, che però non ha mai ricucito quello strappo e che ha di fatto privato di basi più politiche l'evoluzione del cammino comunitario. Ma se allora gli euroscettici vinsero in Francia ed anche nei Paesi Bassi, anche oggi, qualora ci fosse una consultazione a livello europeo, temo che l'Unione ne uscirebbe con le ossa rotte. Specie in Italia è come svanito quell'europeismo emotivo e sentimentale che una volta permeava le discussioni sul tema. Spesso appunto si trattava solo di una verniciatura superficiale, perché poi, scavando, ci si accorgeva di quanto certi atteggiamenti non fossero per nulla connessi a conoscenze reali e a fondamenta solide di una cittadinanza europea consapevole. Per cui io stesso, quando ormai parlo in pubblico, mi accorgo di agire spesso in modo molto diverso da quanto avrei fatto solo dieci anni fa. Ci si trova, in fondo, ad interpretare una logica difensiva, come se ogni volta si dovesse ricominciare da capo, contrastando pregiudizi che sono diventati sempre più solidi. Mentre prima esistevano formule certe di richiami al cuore e alla mente che andavano a colpo sicuro, oggi ci si arrampica - come ho dovuto fare ieri ad una conferenza pubblica con il presidente del "Movimento Federalista Europeo", Pier Virgilio Dastoli - su per un cammino erto e pieno di difficoltà. Le obiezioni? L'Euro è un danno; i tecnocrati fanno schifo; il liberismo uccide; la Germania ha uno strapotere; Nord e Sud hanno interessi diversi; Bruxelles sprecona e via con un'Europa fatta di malintesi e incomprensioni. Malgrado tutto, pur non avendo mai voglia di fare il cavalier servente di un'Europa diversa da quella che io vorrei come federalista, mi trovo tuttavia a difendere il caposaldo di fondo e cioè che se l'Unione non funziona non si può buttare via l'Idea come se nulla fosse. Non so davvero se riesco a essere convincente, ma quel che è certo è che ci credo davvero. Oggi - nel deserto delle paure, della crisi economica e morale, degli odi che ci avvelenano - l'orizzonte europeo ci dev'essere, come una visione di speranza contro tante brutture. Su tutto il resto si discute proprio per non difendere l'indifendibile.