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25 ott 2015

Marino, la società civile e Alice nel Paese delle Meraviglie

di Luciano Caveri

Leggevo giorni fa alcune riflessioni del giornalista e scrittore David Allegranti, che riguardano quegli esponenti della "società civile" entrati in politica per rinnovare il sangue alla categoria. Esempio fulgido è stato Ignazio Marino, chirurgo di fama, che dal Parlamento è volato al Campidoglio. Annunciate le dimissioni, per un pasticcio nei rimborsi, ultimo anello di molte gaffes, ora è lì che prende tempo, pensando di risorgere dalle proprie ceneri e restare sindaco di Roma, cosa che pare piacergli molto. Ecco Allegranti su "Linkiesta": «Dopo i danni causati dal ceto politico e dalla classe dirigente italiana, le cui responsabilità ventennali nel ritardo dello sviluppo del Paese sono evidenti, si sono cercati molti supplenti e salvatori della patria. Negli anni Novanta si pensava che la magistratura potesse aggiustare le manchevolezze della politica, dopo ruberie, malaffare e corruzione, e sulla società civile è stato costruito un mito ideologico. Si è diffusa l'idea che il passante arrivato quasi per caso su una poltrona sia migliore del politico che l'ha preceduto, in Parlamento o alla guida delle amministrazioni locali, anche se sappiamo bene che la società civile può essere anche più incivile del Palazzo».

Il giudizio è duro, ma troppi casi ne confermano la bontà e si finisce per rimpiangere certi "professionisti" della politica del passato, che sapevano di che cosa si trattava. Riprende Allegranti con una citazione: «"La convinzione che i politici non fossero degni di fiducia - scrive Matthew Flinders nel suo "In difesa della politica"- e che si potesse in qualche modo "togliere la politica" dalle loro mani ha determinato un mutamento della natura della governance moderna. Si tratta di un mutamento basato sul trasferimento di potere dagli eletti ai non eletti (ad esempio, giudici, economisti, scienziati, banchieri, contabili, tecnocrati, guardiani dell'etica, eccetera) ma che, per qualche oscuro motivo, sono considerati più legittimi e attendibili dei politici eletti". Epperò, dice Flinders, "non possiamo eleggere dei politici per poi negare la legittimità del loro ruolo", trasferendola ad altri organismi, magari - aggiungiamo con Colin Crouch - in un orizzonte post-democratico nel quale la sfera economico-finanziaria è prevalente su quella dei governi". Ora, le élite politiche hanno dato dimostrazione di meritarsi tutta la feroce ironia di cui siamo capaci, compresa quella classe dirigente delle Regioni che potrebbe trovarsi promossa al rango senatoriale nella nuova riforma di Palazzo Madama. Ma il risultato di questa operazione anti-politica è la creazione di un populismo istituzionale, praticato dagli stessi politici e costruito sull'elogio di una presunta purezza, sui cui risultati ci sarebbe molto da dire, come dimostra la vicenda dell’impolitico Ignazio Marino, il sindaco moralizzatore che finì moralizzato, secondo l'adagio di Pietro Nenni, ed è stato costretto a dimettersi: «A fare a gara a fare i puri, troverai sempre uno più puro che ti epura»". Fine della lunga citazione. Resta il fatto che politica e amministrazione prevedono studio e approfondimento e l'idea populista del "Tizio qualunque" che fa meglio di tutti proprio perché imberbe e vergine è davvero una baggianata. Nessuno vuol difendere i brutti, sporchi e cattivi di certa politica, ma basta angelicare chi arriva senza arte né parte e gioca allo stupore di "Alice nel Paese delle Meraviglie", come il fu sindaco Marino.