Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
22 ott 2015

Le Reines, mucche con la corona

di Luciano Caveri

Ci sono, nel corso dell'anno, delle pietre miliari che si ergono nella piccola Valle d'Aosta attraverso le stagioni, in questo caso l'autunno che si sta colorando di tonalità che non finiscono mai di stupirmi, dalle vette imbiancate ai boschi sottostanti. Così la "Bataille de reines", lo scontro tradizionale delle bovine, caratteristico della cultura comune dell'area geografica di cui la Valle d'Aosta fa parte. Quella che Emile Chanoux chiamava la "République du Mont Blanc", che magari un giorno ci sarà sulle macerie degli attuali Stati nazionali, che si richiamano spesso a confini naturali, dimenticando che - almeno sulle Alpi - le culture le montagne le scavalcano senza guardare agli spartiacque.

Così domenica ci sarà la finalissima alla "Croix Noire" di Saint-Christophe, in quella struttura che fu chiamata con un certo disprezzo "vaccodromo" (i vallesani, che si sono appassionati da matti in questi ultimi anni alle loro combattenti razza "Hérens", stanno lavorando per averne una simile). Mentre a me la definizione ha sempre solo fatto sorridere, perché in fondo queste vacche combattenti sono davvero come delle macchine fuoriserie, che meritavano un'arena. Ho assistito in questi giorni a sfilate di bovine nella "desarpa", la discesa dagli alpeggi estivi, ed è facile vedere perché la "reina" si chiami così. Piazzata all'inizio del corteo della transumanza, si vede con chiarezza come la regina delle corna (ma anche quella del latte) sia agghindata con quel bosquet sul capo che somiglia in fondo ad una versione botanica di una corona sulla testa di una regina. Sono stato il primo a fare la telecronaca delle "batailles" in diretta televisva (e qualche zampata la darò domenica mattina negli spazi di "RaiVd'A"), ormai oltre trent'anni fa, in una Valle d'Aosta molto diversa da quella attuale. L'agricoltura e in particolare la zootecnia avevano un peso molto maggiore nell'economia valdostana e anche il clima di questi combats era più casareccio e il contorno molto più modesto. Ma la sostanza resta comunque la stessa, che a me era familiare per via di un papà veterinario, che sapeva bene come trattare queste mucche aggressive, spesso soggette a patologie ovariche. E lui, quando dovetti fare la diretta delle tenzoni bovine, mi diede solidi argomenti, utilissimi quando bisognava riempire gli spazi in certi lunghi affrontamenti, quando le bestie si studiano, persino facendo finta di niente, ma proprio le telecamere consentono di svelare particolari di nervosismi e quegli occhi - ingiustamente definiti "bovini" - che si scrutano di sottecchi in un gioco di impercettibili segnali reciproci, forse anche di odori che sfuggono alle nostre narici ma non alle loro, che possono, in certi casi, far decidere ad una delle due contendenti ad abbandonare il campo persino senza scontro diretto. In altre occasioni, invece, questa staticità è interrotta dall'inizio dello scontro, che può essere rapidisssimo come un "k.o." oppure protrarsi a lungo come una sorta di tango drammatico in cui le mucche interpretano delle vere e proprie figure, nel gioco dell'incrociarsi delle corna con i corpi frementi. Ma, come in una plaza de toros ma con logiche incruente, bisogna non solo guardare all'angolo di prato dove si svolge il combattimento, ma è bene allargare lo sguardo ai proprietari ed alla loro postura, mentre seguono le sorti della propria beniamina e lo stesso vale per il pubblico che passa dal silenzio all'acclamazione, soggiogato in momenti topici da quel magnetismo che viene dagli antichi gesti di scontri che richiamano un passato remoto, quando l'addomesticamento degli animali e la scoperta del loro comportamento - compreso il lato giocoso di una capomandria fra le bovine al pascolo - erano la vita in società povere, che basavano tutto sull'autosussistenza. Per cui le "reines" sono come delle sopravvissute, in un mondo che cambia con una rapidità sconvolgente, che ci riagganciano con il territorio alpino e la capacità di adattamento, che è un patrimonio da conservare e da difendere.