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10 set 2015

L'estate che se ne va

di Luciano Caveri

Non è espressione di grande fantasia dire di questa consueta malinconia di fine estate, che aleggia e che giungerà ad una curva in salita con l'imminente inizio della scuola. Non sto a ripetere della fortuna di aver goduto sino quasi in fondo al mio percorso scolastico di quel 1° ottobre che fa invidia alle generazioni dopo di noi, che si perdono quell'ultimo chilometro d'estate, che era tutto il mese di settembre. Ma torniamo alla malinconia, un tempo "melanconia", che è quella forma di abbattimento che per la medicina antica derivava dalla bile nera, uno dei quattro umori cardinali, cui si doveva quello stato di dispiacere che è caratteristico di uno stato di rimpianto per qualcosa che se ne va.

In questo caso - quante canzonette ce lo dicono e puntualmente vengono programmate di questi tempi - è per qualcosa che si è vissuto non solo in questa estate, calda e avvolgente, ma in tutte le nostre estati, che sembrano andarsene via con l'ultima vissuto in un gioco onnicomprensivo della nostra memoria. Io me le vedo sfilare nel ricordo e ho un bel campionario. Ci sono cose che non cambiano anche nelle estati da adulti: un giorno all'altro si passa dall'acme dell'estate, come se fosse un frutto maturo che marcisce subito, ad una sua fine, pure anzitempo rispetto al calendario. Ed è subito autunno, come se la stagione fosse da chiudere in fretta per liberarsi in fretta di possibili rimpianti. Basta un abbassamento di temperatura e il passaggio è già mesto argomento di conversazione. Per me l'estate che se ne va è tante cose assieme. Anzitutto la nostra montagna che verticalmente inizia a cambiare, dall'alto del cime al fondovalle con un moto esattamente inverso rispetto a quello primaverile, quando la natura si risveglia. Se saremo fortunati quest'anno, come talvolta in passato, questo può avvenire con giornate straordinarie di bel tempo oppure può essere un passaggio violento e ostile con una discontinuità di un mondo alpino che con la neve cambia senza pietà. Ma ho anche ricordi marini, di quando in settembre si smontavano ombrelloni e cabine e il mare diventava liscio e inanimato e il sole diventava senza forze. Restavano le compagnie dei residenti e noi rari turisti in questa Liguria che si faceva solo più tiepida con l'entroterra che sembrava curvarsi di nuovo sul mare. Diceva bene Cesare Pavese: "In quelle estati che hanno ormai nel ricordo un colore unico, sonnecchiano istanti che una sensazione o una parola riaccendono improvvisi, e subito comincia lo smarrimento della distanza, l'incredulità di ritrovare tanta gioia in un tempo scomparso e quasi abolito".