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16 ago 2015

Renzi e certa sua fretta litigiosa

di Luciano Caveri

Un giorno i politologi, appoggiandosi a qualche esperto di psicologia, smonteranno per capirla a fondo questa attitudine di Matteo Renzi di drammatizzare gli scontri parlamentari sui provvedimenti più importanti. Si sceglie un tema e su quello si costruisce una logica amico-nemico con la caratteristica interessante di cercare un compromesso con chi è fuori dal perimetro della maggioranza, sinora principalmente "Forza Italia", mentre la minoranza del suo partito, il Partito Democratico, viene presa a scarpate perché composta da "vecchi" e da perdenti. Lo scontro sembra essere creato, penso non a tavolino ma nella ripetitività di un atteggiamento psicologico, per essere in modo titanico e coraggioso «contro qualcuno» per uscirne vincitore come in un gioco infantile. Quasi sempre sarebbe più facile mettersi attorno ad un tavolo e trattare, mentre invece la logica del leader spocchioso dalla battuta pronta è quella di attaccare a testa bassa, almeno con i compagni di partito.

Finché dura il carisma tutto gli è permesso, ma visto che il feeling si sta sgretolando e «tanti nemici, tanto onore» è scritto sulla tomba di molti eroi, penso che questa logica di alzare i toni alla fine stia stufando tutti. Credo che si dovrebbe tornare alla normalità e soprattutto ho idea che ci sia ormai scarsa tolleranza di ripetuti effetti annuncio e di promesse mancate e potrei citare un lungo e penoso elenco. Usare un annuncio che spesso serve a coprire un flop per tenere tutti vigili è un altra caratteristica del "renzismo", che si propaga a tutto il suo Governo, specie a quel cerchio magico che seguirà i destini del Capo, come già avvenuto nella storia italiana. Il caso della riforma costituzionale è un esempio di fuochi accesi per far vedere come il "Conducator" sappia affrontare la palude parlamentare, montando una panna che potrebbe essere evitata. Ha scritto il questi giorni il ruvido costituzionalista Gianfranco Pasquino sui quotidiani del gruppo "Repubblica-L'Espresso": «La lettera al "Corriere della Sera" del Presidente emerito Napolitano è stata un intervento a gamba tesissima per invitare ad andare avanti nella modifica di quello che molti, sbagliando, continuano a chiamare "bicameralismo perfetto". Però, la riforma che dovrebbe produrre il bicameralismo imperfetto è, Napolitano per primo lo sa certamente, abborracciata, brutta, male inseribile nel contesto dei rapporti fra Governo, Parlamento e presidente della Repubblica». Purtroppo Giorgio Napolitano torna questa mattina a scrivere sul tema su "Repubblica", nel replicare ad Eugenio Scalfari che vede anche lui una deriva renziana con il brutto e inutile Senato. Mi spiace che l'ex Presidente continui questa sua crociata in quel suo ruolo di Senatore a vita che inviterebbe a una prudenza nelle esternazioni. Aggiunge poi Pasquino, confermando la logica della drammatizzazione: «I tempi per fare facilmente meglio ci sono tutti dal momento che il presidente del Consiglio avvisa un giorno sì e quello dopo anche che intende arrivare fino al 2018. Sbagliato e offensivo è pensare, come ha sostenuto Renzi, che gli oppositori della sua riforma (la maggioranza dei quali non saranno comunque rieletti) siano interessati soltanto al mantenimento della prestigiosa carica senatoriale e della relativa indennità. Invece, i problemi sono almeno di tre tipi. Il primo riguarda le modalità di selezione dei Senatori, non più eletti, ma tutti variamente nominati dai Consigli regionali, tranne cinque nominati dal Presidente della Repubblica. Almeno su questi, Napolitano avrebbe dovuto dire «no, grazie» e, magari, Mattarella farebbe ancora in tempo a esprimersi in questo senso. Non è neppure da demonizzare l'idea che i cento senatori siano eletti dagli italiani, ma il secondo problema è quali attività dovranno svolgere e quali poteri manterranno. Infatti, relegare il Senato ad attività marginali e togliergli poteri reali (il punto del contendere è il voto di fiducia) significa preservare in vita un organismo inutile. Allora, meglio sopprimerlo coraggiosamente dando soddisfazione a tutti coloro che semplicisticamente credono, sbagliando, che l'instabilità e l'inefficacia dei governi derivi dal bicameralismo all'italiana. Se la proposta di monocameralismo venisse da Napolitano, attualmente senatore a vita, acquisirebbe maggiore credibilità e vigore. Infine, il problema più grande e più serio è l'enorme squilibrio istituzionale prodotto dal Senato ridimensionato e indebolito. Al riguardo, gli oppositori della riforma hanno sicuramente ragione e attendono risposte convincenti. Con l'approvazione dell'Italicum, in attesa che si ponga rimedio ai suoi subito evidenti difetti e inconvenienti, si è avuto un enorme spostamento di potere nelle mani di una maggioranza artificialmente creata dal premio in seggi». Ma quel che conta è il pasticcio in corso: «Tutto il sistema costituzionale ne subirà contraccolpi, potendo quella maggioranza esautorare, anzitutto, il presidente della Repubblica che dovrà limitarsi a ratificare come presidente del Consiglio il capo della maggioranza premiata e non avrà più nessuna discrezionalità in materia di (non) scioglimento del Parlamento. Quella maggioranza, incidentalmente, fatta da parlamentari "nominati", si eleggerà facilmente il prossimo presidente della Repubblica e farà man bassa dei cinque giudici costituzionali di elezione parlamentare. Per quanto (populisticamente) attraente possa essere l'idea di mandare a casa 215 senatori e di mantenerne soltanto 100 a carico delle casse delle Regioni, nessuno dovrebbe perdere di vista i gravissimi equilibri sistemici della riforma costituzionale. Quindi, l'invito riformatore non dovrebbe affatto essere ad andare avanti, ma a fermarsi, riflettere, guardare alle seconde Camere meglio funzionanti altrove, su tutte il Bundesrat tedesco, a cambiare verso. Riformare (male) non è un successo di prestigio. Non ci corre dietro nessuno: non l'Unione Europea, non il Fondo Monetario, meno che mai la Banca Centrale Europea. Neanche l'abitualmente molto riflessivo Napolitano dovrebbe cedere a una procurata, ma non reale e non necessaria, fretta». Bravo, Pasquino. La riforma è pessima, non è vero che «la vuole l'Europa» a cui certo non spettano gli assetti istituzionali interni dei Paesi membri e le scelte effettuate puzzano senza "se" e senza "ma" di autoritarismo, creando tensioni e divisioni nella modalità di discussione e di approvazione, di cui si dovrebbe fare a meno. E quando ci sarà il referendum confermativo - sempre che non si voti prima - fossi in Renzi non sarei così sereno sull'esito.