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10 ago 2015

Discoteca chiusa, polemica infinita

di Luciano Caveri

Seguo con curiosità la discussione che si sta sviluppando sulla decisione del Questore di Rimini di chiudere per quattro mesi - l'intera stagione, insomma - la famosa discoteca di Riccione "Cocoricò". Il provvedimento andrebbe letto, prima di essere commentato e io non l'ho fatto, anche se, scorrendo i giornali, si capisce che esiste un rapporto di "causa ed effetto", del genere la goccia che ha fatto traboccare il vaso, a seguito della morte di un sedicenne per un'overdose per una pasticca di "ecstasy" nel locale della costiera romagnola, luogo cult della "movida" di quelle zone. Resta dunque una valutazione generale. Il dato di partenza, come sempre, è soggettivo. Ricordo da ragazzino quanto desiderassi ardentemente entrare in discoteca, al mare o in montagna, poco importava.

Per la mia generazione la discoteca era un fattore indispensabile: il clima che si respirava era la novità e a noi sembrava, forse ingenuamente, che non avesse nulla a che fare con le sale da ballo precedenti. Anni e anni di frequentazione che hanno segnato la mia vita con chilometri macinati in moto o in macchina alla ricerca del posto giusto per la serata, fino a quando - ad un certo punto - volti pagina e fai altro, magari seguendo con curiosità l'evoluzione del fenomeno, come mi è capitato di fare quando sono stato ad Ibiza, una specie di zona franca del divertimento portato all'ennesima (e discutibile) potenza. Ma poi mi sono ritrovato in Parlamento ad occuparmene. Avendo conoscenti gestori di discoteche, sono stato fra quelli che difendevano in Parlamento la categoria di fronte all'assioma, dimostratosi falso con i dati alla mano, degli incidenti stradali del sabato sera causati, secondo alcuni, dagli orari di chiusura delle discoteche. Avevo avuto a che fare con professionisti seri di tutta Italia, che si rendevano conto di avere comunque una responsabilità che i loro locali non diventassero un "Far West" con alcool dato con troppa facilità (specie non applicando il divieto per i minorenni) e soprattutto che ci fosse un'attenzione come non mai contro lo spaccio di stupefacenti. Sapendo, naturalmente, che gli stili di vita dei ragazzi sono, per quanto possibile, il frutto dell'educazione dei genitori e dunque si sa che a qualunque occhiuta guardiania nei locali non può evitare che, magari a due passi, avvenga l'acquisto di bevande o sostanze per "tirarsi neri" in mille altri modi. Certi proibizionismi, come appunto gli orari di chiusura ridicoli che qualcuno avrebbe voluto imporre, rischiano di sortire problemi ancora più grandi. Ricordo da presidente della Regione una bella campagna di prevenzione dell'abuso dell'alcool, in termini informativi, proprio nelle discoteche, che valeva più di mille sermoni e del babau della tolleranza zero. Poi già all'epoca manifestavo ai professionisti del settore la mia ingenua teoria, di cui avevo discusso con i "discotecari" valdostani quando di discoteche ce n'erano ancora tante, è cioè che andassero "sincronizzati gli orologi": non si poteva pensare che prima dell'una del mattino (o persino più tardi) andare in discoteca fosse considerato da "sfigati", portando sempre più avanti l'ora di ingresso nel cuore della notte. Follia frutto delle mode, che possono essere per fortuna corrette, ad esempio con una politica tariffaria. Il fatto che non sia avvenuto è stata una delle concause, a mio modesto avviso, che hanno portato ad un certo tramonto della discoteca come luogo di divertimento. Così come forse non c'è stata sempre la giusta attenzione di alcuni gestori verso quanto evocavo poco prima: l'impegno, almeno laddove è di loro responsabilità, verso il rispetto delle regole per la vendita di alcool e combattere con forza la presenza - che alla fine è ben visibile - di chi spaccia un sacco di schifezze. Ricordo poi, quando ne ho avuto la responsabilità, le discussioni con qualche proprietario di discoteca che facevano finta che certe risse violente avvenute fuori dal loro locale fossero una questione che non li riguardava per nulla. Questa, per i miei figli, quando capita che vadano in discoteca, è la mia paura più grande. Da ragazzo ho assistito a furiose liti in discoteca, ma che finivano sempre, come avveniva anche nei "palchetti", con qualche scazzottata, mentre oggi - con certi ceffi in giro che talvolta vengono da Paesi dove la vita vale un bottone - il rischio che ci scappi il morto non è così astratto. Insomma: se c'è da ripulire si ripulisca, se c'è da punire si punisca, ma alla fine restano i ragazzi che in discoteca ci vanno. A loro, che pure hanno diritto a qualche eccesso giovanile perché il mondo non è una caserma e neppure un convento, vanno insegnati più che imposti quei limiti e confini ragionevoli, che sono ovviamente utili non solo per comportarsi in discoteca.