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16 lug 2015

Formaggi senza latte?

di Luciano Caveri

Capisco che a parlare di formaggi non sono obiettivo perché li considero una vera delizia. Ricordo di recente un ristorante, "Baud et Millet", a Bordeaux dove ho mangiato un pasto a base di soli formaggi. La scelta di quali gustare avviene di persona nella sottostante e suggestiva "cave" con 140 formaggi di tutto il mondo da scegliere con il proprio piatto (e coltello) in mano. Un rituale di grande godimento. Analoga gioia, ma con formaggi solo piemontesi, l'ho provata, poco tempo fa, di fronte al carrello dei formaggi a "Al Sorriso" di Soriso (Novara) con Angelo Valazza (la moglie Luisa è la chef in cucina) che di ogni formaggio racconta la storia avvincente. In Valle d'Aosta ricordo il piatto di formaggi - cinquanta assaggi! - con cinque bicchieri di vino adatti alla bisogna al "Café Quinson" di Morgex. Ma anche sui formaggi bisogna stare all'erta come delle sentinelle. Pensiamo alla notizia nella sua crudezza, che ha suscitato un vespaio in tutta Italia, con annesso rigurgito anti-europeista. La Commissione europea ha inviato una lettera all'Italia per chiedere la fine del divieto di detenzione e utilizzo di latte in polvere, latte concentrato e latte ricostituito per la fabbricazione di prodotti lattiero caseari, previsto da una legge nazionale che risale al 1974.

Per Bruxelles la norma rappresenta una restrizione alla "libera circolazione delle merci". Per capirci, si chiede all'Italia di consentire la produzione di quelli che la "Coldiretti" chiama con realismo dei "formaggi senza latte", ottenuti con la polvere, e si pretende nello stesso tempo di aprire il nostro mercato ai "formaggi senza latte" provenienti dall'estero che finora non potevano arrivare in Italia. In caso contrario il rischio è quello di una procedura di infrazione con le sue conseguenze sino alla Corte europea di Giustizia. Apriti cielo! Tutti a dirsi in particolare: è la fine della straordinaria varietà dei formaggi della Penisola con così tante varianti da soddisfare qualunque palato, dimostrando come la diversità culturale agisca anche attraverso i prodotti del latte. Latte che, con lavorazioni e conservazioni le più diversificate, si trasforma incredibilmente. Spiace constatare - scusate la battuta scontata - che se la preoccupazione è in parte legittima appare altrettanto manifesto il fatto che si rischia di piangere sul... latte versato. Se questa preoccupazione italiana fosse stata davvero così forte, allora esistevano strumenti che potevano consentire un'eccezione con apposita clausola da allegare ai Trattati. Altrimenti - anche se il boccone è amarissimo - la Commissione, a chieder quel che appare essere un obbrobrio, fa comunque e purtroppo il suo lavoro. E' una vecchia questione quella della sciatteria dell'Italia nel lavoro nella fase ascendente, di formazione dei diversi livelli di normazione comunitaria, che obbliga a star in campana sui dossier dall'inizio alla fine, senza svegliarsi alla fine con l'aria della "Bella Addormentata nel Bosco". Non sarà facile intervenire e, come troppo spesso avviene nei rapporti con l'Europa, certe proteste sono come un fuoco di paglia, perché si ha ragione nella sostanza delle cose, ma poi casca l'asino nelle questioni giuridiche con cui non si scherza. E' vero che, per evitare ambiguità, ci sono sul punto certi piagnistei sbagliati: i formaggi "Dop - denominazione d'origine protetta" potranno sempre e solo usare il latte, perché tutelati da apposito disciplinari di produzione. Ma è vero che la qualità generale nel settore diminuirebbe con prezzi stracciati per prodotti senza il "latte vero". A seguire il filone sarebbero produttori italiani senza troppi scrupoli e ci sarebbe l'invasione di prodotti low cost dall'estero. Ma - ripeto e concludo - non so bene come si possa reagire per avere un risultato vero e non il solito "bla bla", che si trasforma infine a Bruxelles in un dolente «signorsì!».