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02 lug 2015

La corsa di Francis

di Luciano Caveri

Conoscendo il protagonista, si sa bene che la vicenda potrà arricchirsi di colpi di scena. Mi riferisco alla storia di Francis Desandré, 47 anni, di Quart, che è anzitutto quella di un incidente sul lavoro, senza il quale non saremmo qui a discutere del caso. Era il 1989, quando per una serie di sfortunate combinazioni, quando era ancora un ragazzo, finì sotto uno scavatore su di un cantiere ad Aymavilles e perse la gamba destra sotto il ginocchio. Francis, che è mio amico da tanti anni, ha sempre vissuto con assoluta naturalezza questa sua disabilità, affrontando la vita con il sorriso e con determinazione. Lo ha con la giusta dose di anticonformismo e di parlar franco.

Non ero rimasto stupito, mesi fa, della sua decisione di correre il "Tor des Géants", la massacrante corsa a piedi in montagna, definita per lunghezza e altimetria (330 chilometri e 24mila metri di dislivello positivo) la più dura del mondo attraverso i sentieri che costeggiano i 4.000 valdostani. Il coup de théâtre rientrava nel suo personaggio di "testa matta" (e dura...), pronto come ha fatto ad infilarsi in un'avventura che era poi un modo per ricordare - in puro spirito paralimpico - che anche i diversamente abili devono poter dire la loro nello sport. Spesso si ricorda la frase - utile per uscire dalla definizione: handicappato, disabile, diversamente abile... - del tostissimo Alex Zanardi (pilota automobilistico che perde entrambe le gambe in un incidente in "Formula Cart", negli Stati Uniti, nel 2001) in occasione delle "Paralimpiadi" di Londra 2012: «Chiamateci come vi pare. Ma per favore ammirateci». Aggiungendo per rinforzare il concetto: «Ci avete mai pensato? Tutto è relativo, nelle nostre esistenze. In fin dei conti, ognuno di noi deve trovare in sé stesso le motivazioni per rendere migliore la vita. La propria e quella degli altri». Ricordo che Zanardi di recente ha fatto un ottimo risultato - nientepopodimenoché - nella leggendaria "Kona", nel campionato del mondo di "IronMan Triathlon", correndo con - orribile definizione- i normodotati. «La montagna è una passione - spiegava di recente Desandré a Silvia Savoye – che è nata all'età di 14 anni, quando aiutavo mio padre in alpeggio facendo il mulattiere sotto Cuney. L’amore per il "Tor" è arrivato invece fin dalla prima edizione, quando il mio vicino di casa ha iniziato a prendervi parte e io a seguirne da vicino le gesta, di lui e di altri amici». E' vero che il "Tor" ha avuto in Valle un carattere virale. Così, con evidente autoironia, è partito il progetto - con tanto di sito "Gamba in spalla". Ma, di recente, un incontro a lungo atteso con gli organizzatori del "Tor" è finito male, nel senso che - specie per problemi di sicurezza, come mi ha spiegato Francis - il "Tor" non potrà correrlo e dunque niente "wild card" (speciale invito a disposizione degli organizzatori per esserci). Neanche, come pensava, facendo magari solo un piccolo pezzo del percorso, con tutte le cautele e aiuti del caso, completando il percorso macinando una tappa alla volta in questa e nelle edizioni prossime. Contava Francis sulla forza del messaggio, sapendo che è più importante che qualcuno gareggi piuttosto che avere i disabili messi come belle statuine alla partenza delle gare o a bordo campo in certe competizioni. Ma Francis non demorde e sul suo blog ha lanciato - con un successo che impressiona - una petizione online per chiedere al ministro del lavoro e delle politiche sociali, all'Ufficio per lo sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, al "Comitato paralimpico italiano", alla "Federazione italiana sport paralimpici e sperimentali" e alla "Uisp", di intervenire. Io la firmo e gli ho espresso la mia simpatia nella speranza che cavi il ragno dal buco.