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22 giu 2015

Tensione e immigrazione

di Luciano Caveri

Un tempo, ma sfuggono ancora tutti i contorni e soprattutto certe connessioni, l'Italia subì la "strategia della tensione". Io quegli anni li ricordo e devo dire che allora, vivendoli, non si aveva la piena consapevolezza di certi fatti, ma il clima era pesante e pieno di incertezze e dai risvolti fortemente emotivi. Esisteva una feroce destra di stampo fascista e a sinistra si agitavano fantasmi che portarono alle "Brigate rosse". Così riassume la "strategia della tensione" la "Treccani", riferendosi a quelle vicende e agli oscuri legami, che sembrano ancora incombere sull'Italia di oggi: "Strategia eversiva basata principalmente su una serie preordinata e ben congegnata di atti terroristici, volti a creare in Italia uno stato di tensione e una paura diffusa nella popolazione, tali da far giustificare o addirittura auspicare svolte di tipo autoritario".

"L'espressione fu coniata dal settimanale inglese "The Observer", nel dicembre 1969, all'indomani della strage di piazza Fontana - si legge ancora - generalmente considerata l'avvio della strategia della tensione, sebbene alcuni studiosi ne retrodatino l'inizio alla strage di Portella della Ginestra (1947) o al cosiddetto "piano Solo" del generale De Lorenzo (1964). La bomba di piazza Fontana costituì la risposta di parte delle forze più reazionarie della società italiana, di gruppi neofascisti, ma probabilmente anche di settori deviati degli apparati di sicurezza dello Stato, non privi di complicità e legami internazionali, alla forte ondata di lotte sociali del 1968-69 ed all'avanzata anche elettorale del Partito comunista italiano. L'arma stragista fu usata ancora nel 1970 (strage di Gioia Tauro), nel 1973 (strage della questura di Milano), nel 1974, all'indomani della vittoria progressista nel referendum sul divorzio (strage dell'Italicus, strage di piazza della Loggia), ed ancora nel 1980 (strage di Bologna), ma non fu l'unica espressione della strategia della tensione, la quale passò anche attraverso l'organizzazione di strutture segrete, in alcuni casi paramilitari e comunque eversive ("Rosa dei Venti", "Nuclei di difesa dello Stato", loggia "P2", eccetera), i collegamenti internazionali (le strutture "Gladio" o "Stay-behind"), la progettazione e la minaccia di colpi di Stato (il "piano Solo" del 1964, il tentato "golpe Borghese" del 1970), ed infine la sistematica infiltrazione nei movimenti di massa e nelle organizzazioni extraparlamentari, comprese quelle di sinistra, al fine di innalzare il livello dello scontro". Senza giocare ai complottisti da operetta (ed in giro è sempre pieno di gente che gioca su questo terreno scivoloso), è evidente che la questione migranti e la sua gestione "tafazziana" (da Tafazzi, cognome di un personaggio impersonato dal comico Giacomo Poretti che in una trasmissione televisiva si colpiva il bassoventre con violente bottigliate) è piena di ambiguità, che servono a instradare la parte più fragile dell'opinione pubblica. La politica nazionale è così goffa nelle vicende in corso che o siamo di fronte ad un'incapacità totale oppure c'è chi - per analogia con certo passato - scherza con il fuoco, fomentando paure ed incomprensioni del tutto legittime, quando non si capisca quale sia la risposta a certi problemi. A fronte di una sorta di invasione dei migranti, che si dimostra senza regole certe, e che riguarda sia l'accoglienza, quando dovuta, sia i respingimenti con rimpatrio (le espulsioni sono barzellette), se necessari e cioè se non ci sono ragioni per offrire asilo. Nell'impasto caotico si aggiungono le Mafie (e gli islamisti) che gestiscono i flussi di questa sorta di schiavismo e chi (come "Mafia Capitale") si arricchisce con i migranti che giungono senza alcun controllo reale sugli arrivi, che aumentano persino quando i soccorsi si fanno più efficaci proprio per evitare certe stragi. Una volta arrivati, ci mette lo zampino anche il meccanismo burocratico-giudiziario che agisce lentissimamente (e con ricorsi al "Tar" per i dinieghi) nel doversi occupare se accettare o no le ragioni di chi chiede di ottenere lo status di rifugiato. E L'Europa? Nicchia, dimostrando il peso politico irrisorio dell'Italia (Federica Mogherini compresa e il tour di Matteo Renzi a Parigi e a Londra sembra solo propaganda) e il "Trattato di Dublino" scarica su di noi la richiesta di asilo e per questo altri Paesi europei, come Francia e Austria, chiudono le frontiere ai migranti che hanno lo status di immigrati clandestini. Per cui agitare la violazione degli accordi di libera circolazione di Schengen è perlopiù fuori luogo. Si aggiungono - a complicare le cose in tema di convivenza - la recrudescenza di episodi criminosi di grande gravità, come le bande di rapinatori balcanici, di ragazzi latinos, i ladri di rame rumeni, certi episodi che coinvolgono i rom. Sembra esista una percezione di impunità verso certi delinquenti, che agiscono senza timori e confidando nella mitezze delle pene e negli sconti nella loro esecuzione. In un'epoca di debolezza della politica, tutto ciò fa gioco a chi cavalchi il populismo spicciolo. Alla retorica buonista si contrappone l'estremismo del "cattivismo". Entrambe sono visioni miopi e disequilibrate, che non consentono quell'attitudine lucida che dev'essere sempre improntata alle regole di uno Stato di Diritto, che deve consentire a tutti di vivere assieme in una civile convivenza, ma senza sconti per chi delinqua e sa come approfittare delle maglie larghe della Giustizia. Altrimenti il declino sarà quello di xenofobia e razzismo che spingono naturalmente verso una deriva autoritaria, scopo già perseguito - in un contesto del tutto differente - al tempo della strategia della tensione.