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17 giu 2015

L'Isis alle porte

di Luciano Caveri

"Mala tempora currunt": così mi scrive, come titolo di una mail, Massimo Tringali, intellettuale valdostano di raro spessore culturale ed osservatore disincantato delle cose del mondo. Mentre tutti osservano - ed è giusto che sia così - le vicende dei migranti, Tringali ricorda le minacce sempre più incombenti degli islamisti, ormai vincenti davanti alle coste italiane. Così scrive: «Qualche giorno fa Domenico Quirico in un editoriale radiofonico denunciava il fatto che l'Isis sta prevalendo in quella che, a suo dire, è a tutti gli effetti una guerra tradizionale. E sta prevalendo nel controllo di una sempre più vasta porzione di territorio. Aggiungeva che è la prima volta dalla fine della Seconda guerra mondiale che l'Occidente, insieme ai suoi alleati arabi, si trova, nei fatti, perdente. Eppure tutto ciò sembra non allarmare l'opinione pubblica. Vuoi perché nichilisticamente insensibile alle persecuzioni, specie se rivolte ai cristiani, vuoi perché si sente beatamente al sicuro. Tutti abbiamo visto l'immagine del miliziano a volto coperto con il coltello puntato su Roma: ma, si dirà, provocazione mediatica e null'altro».

Fatte queste premesse, Tringali punta dritto al problema: «Ebbene le cose, purtroppo, stanno assai diversamente. Guai a dipingere i miliziani dell'Isis come fanatici tagliagole. La realtà, purtroppo, è assai più inquietante. Si tratta di soldati a tutti gli effetti. Fanatici fin che si vuole (il che li rende ancor più pericolosi), ma anche esperti dei mille trucchi delle guerre simmetriche e asimmetriche. Tra le loro fila si contano guerriglieri reduci da cento fronti di guerra jihadista, dall'Algeria all'Afghanistan, dalla Cecenia allo Yemen, soldati siriani passati coi ribelli, eredi di esperienze belliche con gli israeliani. Ma, soprattutto, il nocciolo duro dell'Isis è costituito dagli ex pretoriani del rais iracheno Saddam Hussein: gente che ha combattuto ben quattro guerre in vent'anni, per poi infischiarsene del "mission accomplished" di Bush jr. del 2003. E che guerre! Dal conflitto con l'Iran sciita (dieci anni di trincee...) alla guerra con il mondo. Gennaio 1991: la guardia presidenziale di Saddam aveva resistito a quaranta giorni di intensi bombardamenti, diurni e notturni, condotti dal quaranta per cento delle forze aeree USA e dai loro alleati europei e sauditi. Hanno resistito a 90mila tonnellate di esplosivo. Al punto che per liberare il Kuwait, la Coalizione internazionale ha dovuto ammassare mezzo milione di soldati in Arabia Saudita per poi procedere all'invasione.
L'Isis può contare su immense risorse petrolifere e finanziarie. Un mese fa le forze speciali USA hanno ucciso il "ministro" delle finanze del Califfato. Cos'è cambiato? Nulla. L'Isis avanza da mesi in Libia: a Derna, ora addirittura a Sirte. La sua presenza in Libia è pericolosissima per noi, ma più ancora per l'instabile Egitto. L'Egitto è demograficamente come mezza Europa. Da mesi si susseguono attentati nel Sinai, sulle sponde del canale di Suez». La parte successiva è un appello al buonsenso e alla vigilanza: «Quali scenari immediati per la nostra sicurezza? E' così insensato aspettarci un Mediterraneo in mano alla pirateria? Possiamo stare certi che un domani nessuno da quelle parti ci lanci addosso una salva di missili balistici, magari acquistati dal Nord Corea? O un mega attacco con la bomba sporca (notizia di pochi giorni fa: Israele si addestra da quattro anni ad un simile evento). Oppure perché non mettere nel conto il dirottamento suicida di una petroliera lanciata a tutta velocità su Genova o Tolone? O un attacco stile Mombai 2002. Ma, a mio avviso, vi è un altro dato che sfugge all'opinione pubblica e, in parte forse, ai nostri Governi. La guerra fredda è finita. E con essa è finito il rapporto privilegiato che gli USA hanno intrattenuto con l'Italia nel Mediterraneo a danno dei loro competitor francesi ed inglesi. Fin dai tempi della crisi di Suez ci hanno spalleggiato nelle piazze d'affari mediorientali. La guerra a Gheddafi del 2011 ha segnato il cambio di rotta. Gli USA non sono più interessati al Mediterraneo, anzi un po' di instabilità gli fa pure comodo. La loro preoccupazione strategica è l'Oriente e, in parte, la Russia. Così francesi ed inglesi hanno carta bianca e si comportano da rapaci a nostro danno. Dobbiamo arrangiarci da soli. E l'Italia non è membro permanente dell'Onu. Dobbiamo stare davanti alla realtà».
Ovvio, nelle conclusioni, un cenno ai problemi più attuali: «In questo contesto si inserisce il dramma dei profughi e dei migranti. Ne passano in egual misura in Italia e in Grecia. Ma la Grecia non è messa come l'Italia. Solidarietà europea? A parte il fatto che la politica estera è di pertinenza degli Stati e non di Bruxelles (checché ne dica Rollandin) o delle regioni leghiste, ma quando la Germania si è ritrovata con il dramma dei profughi della ex Jugoslavia qualcuno ricorda che ha chiesto aiuto all'Unione Europea? E quando la Francia ha chiesto contributi ai Paesi dell'Unione Europea per la guerra in Mali noi che abbiamo risposto? Spiacenti siamo sotto elezioni. E se scoppia la guerra in Ucraina? I profughi dove andranno? Saremo pronti a fare la nostra parte? Da ultimo. Si fa un gran parlare di bombardare i barconi prima che partano. Ma la gente sa che la Russia ha detto "no" all'arma aerea e gli Stati Unita sono addirittura in principio contrari? Da mesi il nostro Governo sta lavorando sottotraccia per disinnescare la Libia. E sta disperatamente cercando una cornice di legalità internazionale per una qualche forma di intervento militare contro scafisti eccetera. Ma di fronte ha alleati pronti a pugnalarci. Quindi mi fa incavolare il retro pensiero che noi saremmo al di qua della sponda, al sicuro, tra i vincitori... E questo retro pensiero è presente anche in uomini delle istituzioni. Ma non c'è da stupirsi. A forza di italiche ipocrisie ci siamo veramente rincoglioniti. Siamo gli unici ad avere gli aerei invisibili. Mi riferisco ai quattro "Tornado" inviati lo scorso novembre in Kuwait nella coalizione anti-Isis. Nessuno ne parla. Ma, soprattutto, i nostri sono gli unici che non bombardano: solo ricognizione. Che bello spreco di denaro, tra l'altro! Siamo quelli più esposti e mandiamo i bombardieri a far foto. Complimenti». Un'analisi lucida e preoccupata su cui certo si può discutere, ma la tensione morale è evidente.