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13 giu 2015

Non c'è libertà senza legalità

di Luciano Caveri

Quando escono fuori storie agghiaccianti come quelle di queste ore delle ruberie a Roma (a conferma di un filone che ci deve far vergognare in Europa, pensando ai migranti), ci sono in me diverse sensazioni. La più banale è la riconoscenza per le Forze dell'Ordine e la Magistratura in casi come questo, in cui fanno il loro lavoro senza sconti, intervenendo con inchieste che portano a processi che permettono la condanna di chi delinque. Sembra un fatto banale ma non lo è affatto, perché non tutti i posti sono uguali e Roma, per molti anni era stato definito il "porto delle nebbie", proprio perché certi dossier sparivano con facilità a vantaggio dei "cattivi". Leggendo quel che si trova sui giornali, colpisce infatti quel senso di sicurezza e di impunità di questa "banda" che pensava di godere di protezioni così in alto da consentire di spingersi sempre più in là sul terreno dell'illegalità. Se ci pensiamo, è questo un aspetto inquietante: considerarsi invincibili e non più soggetti ai rigori della Giustizia, perché tutti hanno un prezzo o, peggio ancora, diventano complici per l'ignavia rispetto ai loro doveri. E' una brutta storia questo discorso dell'impunità vera o presunta.

Poi colpisce una parte di reazione dell'opinione pubblica. È la solita generalizzazione del "Così fan tutti...", che insegue chiunque faccia politica, inchiodato alla fine ad una sorta di maledizione collettiva, che rende tutti uguali e indistinguibili in una logica ammiccante. Quando mi capita di sentire certi discorsi o di esserne vittima, perché avendo fatto politica sono da alcuni - magari pure in tono scherzoso - associato al malaffare mi viene in mente Piero Calamandrei, grande politico di origine azionista, che spiegando la Costituzione e i suoi valori così diceva agli studenti in un celebre discorso pronunciato a Milano nel 1955: «"La politica è una brutta cosa. Che me n'importa della politica?". Quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà, di quei due emigranti, due contadini, che traversano l'oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l'altro stava sul ponte e si accorgeva che c'era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda ad un marinaio: "Ma siamo in pericolo?". E questo dice: "Se continua questo mare tra mezz'ora il bastimento affonda". Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno. Dice: "Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare il bastimento affonda". Quello dice: "Che me ne importa? Non è mica mio!". Questo è l'indifferentismo alla politica. E' così bello, è così comodo! E' vero? E' così comodo! La libertà c'è, si vive in regime di libertà. C'è altre cose da fare che interessarsi alla politica! Eh, lo so anche io, ci sono... Il mondo è così bello vero? Ci sono tante belle cose da vedere, da godere, oltre che occuparsi della politica! E la politica non è una piacevole cosa. Però la libertà è come l'aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent'anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica…». Interessante, vero? Calamandrei ha spiegato che non c'è libertà senza legalità e certo la politica deve fare la sua parte. Ma non è accettabile l'atteggiamento di chi fa di ogni erba un fascio con il paradosso estremo di pensare, in fondo, che chi fa politica con onestà è un fesso. Talvolta me lo sono pure sentito dire e penso sia immaginabile quale sia stata la mia reazione.