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30 mag 2015

Costume, moda, stile e galateo

di Luciano Caveri

Guardare ai fatti, anche i più bislacchi, offre sempre un punto d'osservazione che apre la prospettiva. Scrivere di costume è un'impresa difficilissima e - se applicato alla moda - più sbircio i giornali femminili e meno ci capisco. Talvolta resto stupefatto dalle collezioni di alta moda, non capendo dove stia la presa in giro, ma è di certo una mia carenza culturale. Solo per fare un esempio e nel rispetto del "kilt" scozzese, trovo la proposta della gonna ad uso maschile ancora troppo "innovativa" per i miei gusti, anche se ho le gambe dritte... Mi ha fatto molto sorridere questa storia che a Cannes, sul red carpet, sarebbe stato consigliato alle attrici in sfilata per entrare al "Festival del Cinema" di mettersi i tacchi alti. L'incidente diplomatico sarebbe scaturito dal fatto che per l'anteprima di "Carol", due signore sono state allontanate dal tappeto rosso perché indossavano ai piedi delle "ballerine", scarpe di fatto piatte. Si sono di conseguenza create delle polemiche, degne di miglior causa con tanto di finale politicamente corretto. «Ci scusiamo - ha dichiarato il direttore del festival, Thierry Fremaux - si è trattato di un eccesso di zelo».

Verrebbe da dire "chissenefrega" e forse resterebbe la curiosità, tutta maschilista, di periziare le due con le "ballerine", che per essere indossate in un'occasione ufficiale forse possono andar bene per una che abbia le "physique du rôle" di una Naomi Campbell. Ma varrebbe forse la pena di dire anche che nessun uomo ha mai imposto i tacchi alti, armamentario di seduzione femminile - croce per i piedi e delizia per i podologi - che creano situazioni ormai classiche del genere: «Ora, che ho i piedi sotto il tavolo, mi tolgo le scarpe!».

Il caso di Cannes, però, apre uno spaccato sul "dress code", cioè quella serie di regole relative all'abbigliamento più opportuno in particolari occasioni o in determinati luoghi. Che poi, senza anglicismi, sono riassumibili in regole di "Galateo", che sfociano in "cerimoniale" e "protocollo", a seconda dei livelli di cogenza delle regole e dell'ufficialità delle occasioni. Ricordo quel presidente di Regione, sempre senza cravatta (talvolta l'anticonformismo è un vezzo), cui venne garbatamente spiegato che dal Papa o dal Presidente della Repubblica si va con la cravatta al collo, anche se ti dà un senso di costrizione. So bene - lo dimostrano Barack Obama e pure Matteo Renzi - che anche la cravatta è una schiavitù destinata a finire. Da quando non ho impegni ufficiali la porto io stesso solo quando strettamente necessario, preferendo anche al lavoro una tenuta informale, che è sempre meglio di chi si veste "formal" con gusto kitsch come se l'armadio gli fosse caduto addosso. Ricordo, a questo proposito, al Casinò, quel dirigente che metteva il vestito scuro con i calzini di spugna da tennis o quell'assessore che in incontri ufficiali sfoggiava giacche e cravatte con colori degni dei costumi di carnevale a Copacabana. Idem per certe politiche che sfoggiano mise provocanti atte a provocare tempeste ormonali nei colleghi maschi, per altro non sempre corrispondenti alla "taglia forte". Noto, in Valle d'Aosta, penso giustificata dal carattere montano della Regione, un moltiplicarsi a dismisura della tuta da ginnastica, rinvenuta persino in qualche battesimo. Della serie: «mi piace stare comodo» o «trattasi di tuta griffata». Come non citare dunque la celebre e innovativa Coco Chanel: «La mode se démode, le style jamais».