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21 apr 2015

La Storia e gli anniversari

di Luciano Caveri

Mi è capitato spesso di scrivere qui e altrove sulla Storia e sulla sua importanza. Sarà per i miei studi o più semplicemente perché credo che se non la si conosce a sufficienza manchi la bussola per capire dove siamo e perché. Ecco la ragione per cui passo il tempo a guardarmi attorno e a guardare avanti (odio chi passa il tempo a guardarsi indietro con penoso "reducismo" e magari a lambiccarsi con i "se" e con i "ma"), ma cerco di farlo avendo sempre ben presente le tappe che ci hanno portato oggi sin qui. Coltivo la speranza che la Storia la si possa studiare incrociando, laddove possibile, la Storia locale con quella più piccola, cioè la storia familiare, e con quella più grande europea e persino planetaria. Così seguo sempre con attenzione quelle pietre miliari che sono gli anniversari, che ho letto una volta - ma non ricordo chi fosse a dirlo - non sono null'altro che l'eco del tempo che passa inesorabile. Di questi tempi l'incrocio fa impressione e misura certe distanze che irrompono nella nostra vita e ne dimostra, purtroppo, l'assoluta brevità, rispetto alle tante cose che avremmo da fare. Ma se noi siamo il prodotto di chi ci ha preceduti, noi stessi dobbiamo contribuire, anche con il gusto della storia, a formare chi ci seguirà nella straordinaria ma implacabile catena della vita, in cui il testimone passa dagli uni agli altri.

Il centenario della Prima Guerra mondiale è un ricordo non remotissimo e ben vivente nella mia generazione, che ha conosciuto ancora ex combattenti della Prima Guerra mondiale. Ho ricordato mio nonno Emilio Timo e proprio in questi giorni mia zia Agostina - confessando che sono l'unico che sembra interessarsene in famiglia - mi ha dato del materiale del nonno (classe 1990, morto nel 1972), che mi commuove nella semplicità delle carte. Ancora tempo fa ho visto, in vecchi filmini in "Super8" questo vecchietto che ci raccontava le storie delle sue battaglie - dalla Libia alla Prima Guerra mondiale - e noi nipotini chiassosi non avevamo la testa per capire quanto fossero importanti le cose che ci raccontava. Ebbene, per me quelle vicende di cento anni fa non sono il Giurassico. Come dicevo, ho conosciuto tante persone che mi hanno ancora dato testimonianze vere, che supportavano la mia sete di sapere di quei fatti, così importanti e decisivi. Piano piano poi uno, se ha la voglia di conoscere e di studiare (perché alla fine di questo si tratta e non lo si fa più sotto la sferza degli obblighi scolastici), si fa la sua rete di collegamenti e, nel caso per me di maggior interesse, quella Guerra ha avuto ricadute decisive sulla Valle d'Aosta per il numero di valdostani morti ammazzati o invalidi e perché la geopolitica italiana - ad esempio con l'annessione del Sud Tirolo - si modificò anche per la Valle. Questa stessa adesione per quelle vicende è stata spazzata via, come lo erano per noi le vicende risorgimentali rispetto ai miei nonni (René, nonno paterno, era del 1866). Lo stesso vale, in modo ancora più vivo nel presente, per le vicende di cui ricordiamo i settant'anni. Mi riferisco alle ultime fasi della Seconda Guerra mondiale, che culmineranno a giorni nelle celebrazioni della Liberazione. Ciò mi tocca ancora di più nella mia pelle, perché sono fatti e circostanze che per memoria familiare e collettiva mi investono e mi hanno forgiato per quello che sono. Parlo di valori e di idee, spesso così contraddittori da averci messo anni a dipanarne la matassa e a formarmi delle mie convinzioni personali. Non si può non constatare come, già per l'altra celebrazione, si stenti a far cogliere l'importanza del ricordo e ci si sia persi nel meccanicismo della memoria attraverso momenti di incontro che sono distantissimi da quelle forme attrattive, pure oggi sono possibili, specie per i giovani. Oltretutto in certi casi c'è la sgradevole sensazione che qualcuno ci voglia mettere il cappello sopra, come se non dovesse essere un patrimonio comune, e - peggio ancora - c'è chi su certe vicende vorrebbe far cascare l'oblio, nel nome di un'indeterminata e perniciosa "pacificazione nazionale". Come se il tempo trascorso potesse servire a modificare la sostanza di quanto avvenuto in quel "volemose bene" che è una delle sciagure italiane.