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13 apr 2015

1992: realtà e fantasia

di Luciano Caveri

Sto seguendo, con interesse perché "c'ero", la serie televisiva intitolata "1992", che racconta - con toni romanzati e seguendo sei personaggi inventati e le loro vicende - quei fatti che portarono a "Tangentopoli" ed alla sua principale conseguenza, vale a dire alla fine, come si disse forse precipitosamente, della Prima Repubblica. La mia tesi nota è che le Repubbliche, come in Francia, si numerano a causa di riforme costituzionali sostanziali e non delle vicende giudiziarie e delle loro implicazioni. All'epoca ero al mio secondo appuntamento elettorale, sempre in coppia con il Senatore César Dujany. In un epoca in cui l'Union Valdôtaine si trovava all'opposizione nasce un cartello di partiti che, sulla carta, doveva vincere le elezioni politiche. Mio avversario alla Camera fu il democristiano Augusto Fosson (che ora torna come candidato sindaco di Saint-Vincent con l'appoggio proprio dell'UV, segno di come la storia cambi...), mentre l'avversario di Dujany per il Senato era stato il comunista Giulio Dolchi, che ricordo con affetto. Vincemmo a man bassa, contro ogni logica previsione. Così mi trovai, dopo cinque anni di esperienza parlamentare, a fare di nuovo il Deputato in quella che poi fu la più breve Legislatura della storia repubblicana (722 giorni dal 1992 al 1994), con il vantaggio di conoscere ormai la macchina parlamentare come le mie tasche sulla base di un lavoro duro e difficile di apprendimento.

Ebbi dunque modo di seguire quegli anni complicati in prima fila, come capogruppo del "Misto" e anche come membro della Commissione parlamentare per le Riforme Costituzionali (dove ebbi modo di illustrare la mia proposta di riforma in senso federalista dello Stato, unica presentata nel tempo) per non dire della Commissione per la riforma dell'immunità parlamentare proprio sulla base dell'incalzare degli arresti di "Tangentopoli". Si susseguirono all'epoca due Governi Amato ed il Governo Ciampi. Il primo nacque ancora sotto la regia di Bettino Craxi, leader socialista, e fu per lui il canto del cigno (o del "cinghialone", come lo definì Vittorio Feltri). Ricordo come oggi un lungo colloquio che avemmo assieme a lui e ad Amato con il Senatore Dujany in via del Corso. Capii la forza del suo carisma e rimasi colpito da un suo umorismo sarcastico. Più tardi, quando lo ascoltai nel famoso discorso prima della fine alla Camera, a pochi metri da me, ebbi modo di riflettere sul fatto che la valanga che lo stava travolgendo lo aveva colto del tutto impreparato agli eventi. Con Ciampi, invece, ci fu il passaggio delicato e vincente dell’ordinamento finanziario con il venir meno dell'Iva da importazione a causa della caduta in Europa delle barriere doganali. Quando guardo gli interventi in aula ed in Commissione, nei verbali dei resoconti, sono contento del lavoro che feci allora con un'attività continua alla Camera (i presidenti dell'Assemblea furono prima Oscar Luigi Scalfaro, poi salito al Quirinale, e Giorgio Napolitano). Seguendo lo sceneggiato di cui dicevo all'inizio, lo trovo molto flebile, restando in sostanza sulla passerella poco stabile fra racconto storico e finzione. I momenti in Parlamento, attraverso un immaginario deputato leghista espressione di quella schiera di esponenti del "Carroccio" che entrarono allora, sono costruiti in modo piuttosto maldestro e persino caricaturale. Penso a certe descrizioni di Mario Segni, con cui lavorai a stretto contatto per il referendum elettorale, che ne fanno una figurina grigia del tutto ingiusta. Idem la visione grottesca di Antonio Di Pietro, che conobbi bene al Parlamento europeo, che risulta molto meno colorita e espressiva dell'originale. Devo aggiungere che la stessa successione di attentati mafiosi (con la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino) mi pare sottostimata nell'eco reale, di vivissima impressione e di leva sulla politica, che ebbe a quel tempo. Pur tuttavia, bisogna essere onesti sul fatto che la validità dell'operazione resta intatta. L'Italia (e anche la Valle d'Aosta, purtroppo) sembra affetta da una crescente smemoratezza e dunque va riconosciuta l'importanza di scolpire in uno sceneggiato alcune vicende storiche senza le quali poco si capisce di che cosa capiti oggi. Mi riferisco - solo per fare un esempio - al lentissimo e drammatico tramonto di quel "berlusconismo" che ha molte delle sue radici in quegli anni. Direi che persino il "renzismo" lo si capisce meglio pensando alla fine del vecchio Partito Comunista Italiano e della vecchia Democrazia Cristiana, oggi fusi nel Partito Democratico, quasi a completamento di certi disegni che risalgono ad allora. Questo misto di oblio e continuità così descritto da Corrado Alvaro: «La storia considerata come una vicenda di buono e di cattivo tempo, di uragani e di sereni, ecco che cos'è la storia per un italiano. Per questo scetticismo della storia non si sono prodotti tanti tragici fenomeni in Italia, dove nulla è mai scontato interamente, dove tutti possono avere la loro parte di ragione, o dove tutti hanno torto, dove si ritrovano viventi i residui di tutte le catastrofi e di tutte le esperienze e di tutte le epoche. Ci sono ancora i guelfi, i neoguelfi, i separatisti, i federalisti, i sanfedisti, i baroni, i feudatari, ecc. Questi caratteri italiani sono l'origine delle più strane sorprese e delle più incredibili involuzioni». Ora siamo alle sorprese.