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10 mar 2015

Dall'integrazione alla civile convivenza

di Luciano Caveri

Capita sempre di più, in discussioni da chiacchiera conviviale o in incontri di elevato spessore culturale, di chiedersi che cosa si possa fare - nel nostro quotidiano e non nei delicati scenari mondiali - per contrastare questa storia dell'estremismo islamico. Un elemento di pericolo che da molto distante diventa sempre più vicino. Trovo di conseguenza che il tema sia molto importante e pure decisivo per la politica del futuro ed è bene agire finché non si inseguono le emergenze. E', per altro, nell'ignoranza e nelle paure di quanto non si capisce che si generano i mostri e alcuni sono già in giro. Ma lo stesso vale, all'opposto, per chi è granitico nel "politicamente corretto" e sbandiera xenofobia e razzismo non appena qualcuno si pone qualche interrogativo su alcune criticità.

Un caso significativo, che mi brucia personalmente, è il vecchio tema dell'integrazione. La questione è così riassumibile: esiste un momento in cui una certa comunità, con sue caratteristiche e una propria identità, vive fenomeni d'immigrazione, che creano tensioni per chi accoglie e disagi in chi viene e si confronta con modi di essere diversi dal proprio. Ogni contatto con la novità genera reciprocamente preoccupazioni, ma nella logica dell'incontro si crea un equilibrio che porta a situazioni di compromesso fra il dare e il ricevere e fra il nuovo e il vecchio. Così è sempre stato dall'antichità più profonda: un percorso dialettico fra chi c'era e chi arriva da cui sortisce il nuovo che assicura pure la continuità. Qualcosa - ed è una novità di cui una piccola Valle d'Aosta diventa "area test" - oggi si è rotto. La macchina dell'integrazione, per lo più spontanea e non costruita, sembra essersi bloccata per la larga parte dell'Islam che, a causa di ragioni e mentalità radicate, vive nel proprio mondo e con propri usi e costumi. Operazione legittima, se non fosse per uno scatto in più: la convinzione che quei modelli e quelle idee sono non solo sono giusti, ma che certi modi di vivere e ragionare sono la Verità e come tali alternativi ai nostri, che sono sbagliati per assunto di partenza. Questa certezza di essere nel giusto, se nutrito da un radicalismo appena sotto la superficie, crea la sicurezza che il vecchio va scalzato e lo si può fare senza alcuno scrupolo, se il caso con la violenza. Chi agisce dall'altra parte, se intriso solo da meccanismi di relativismo culturale e da logiche di accoglienza costi quel che costi, viene considerato come utile tassello debole. Per cui i tradizionali meccanismi di accoglienza e di politiche d'integrazione fanno cilecca e rischiano di emergere in larga parte di opinione pubblica reazioni rozze di rifiuto e incomprensione. Una situazione che precipita in fretta e da cui è difficile risalire. L'alternativa è nel rispetto reciproco e nella supremazia di certi valori costituzionali - il corpus di diritti e doveri di cittadinanza - che non possono essere derogabili per evitare il peggio. La civile convivenza è un ponte stretto e delicato e ogni deroga rispetto al suo funzionamento è una sconfitta. Mi sembra che sul punto si discuta poco e si urli molto in uno scontro fra sordi che rischia solo di creare degli abissi di incomprensione. Forse non è ancora troppo tardi per definire regole e certezze, altrimenti sarà il caos.