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05 mar 2015

Il futuro della RAI

di Luciano Caveri

Sono entrato alla "Rai" 35 anni anni fa di questi giorni. Era il 22 febbraio del 1980 ed ero un poco più di un ragazzo, che pensava che il giornalismo sarebbe stata la sua attività esclusiva da lì fino alla pensione (ed anche dopo). Ricordo con facilità quella data non solo perché fu certamente una svolta, frutto di una serie di casualità irripetibili (in sostanza entrai perché chi doveva entrare rinunciò), ma era anche il giorno del compleanno di mio papà. Il monopolio della televisione di Stato appariva come un dato incontestabile: venendo dalle "private" ero fra quelli, pur essendo uno sbarbatello, che segnalavo ai più vecchi - sicuri del futuro roseo della "Rai" a fronte del dispiegarsi della concorrenza - che con i soldi si sarebbe facilmente colmato il gap fra la "corazzata Rai" e gli emergenti privati nel settore. Avevo ragione - oggi lo posso dire - e così ci si ritrovò in un battibaleno in una situazione, di fatto ancora vigente, di duopolio nel settore televisivo con Silvio Berlusconi, aiutato dalla politica e poi diventato politico lui stesso, senza mai risolvere di fatto il conflitto d'interessi per generali complicità e inciuci all'italiana.

Ho avuto la possibilità in anni di mandato parlamentare e pure con una finestra avuta in Europa di seguire l'evoluzione del sistema radiotelevisivo italiano e, dopo tanti anni di aspettativa per mandato politico, alcuni anni fa sono tornato a lavorare alla "Rai" in una piccola nicchia di responsabilità. La "Rai in questi decenni è molto cambiata, sotto diversi profili, e non lo è sotto altri. Ma quel che è certo è che nel mercato della politica il sistema radiotelevisivo - per l'evidente influenza sugli elettori - resta uno dei cardini nelle discussioni politiche palesi e occulte. Negli accordi ondivaghi - prendersi e lasciarsi - fra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi (ora siamo in un momento di apparente dissenso) il futuro di "Rai" e del gruppo "Mediaset" di berlusconiana proprietà è uno dei problemi capitali. I commentatori non a caso montano e smontano gli accordi veri o presunti del "Patto del Nazareno" per capire alla fine che cosa ci sia davvero dietro. Un fatto certo è che nelle prossime settimane ne vedremo delle belle: Renzi annuncia una riforma della "Rai" assai incisiva e innovativa. Pare pensi di usare lo strumento del decreto legge (con fiducia incorporata) per bypassare ogni reale discussione parlamentare, ma è chiaro che il presidente Sergio Mattarella - che sa bene il ruolo della "Rai" - al Quirinale non si limiterà a fare da passacarte. Intanto Berlusconi manovra le leve finanziarie di "Mediaset" e si lancia in una campagna acquisti dello strategico sistema di ripetitori della società pubblica "Rai Way", quotata in Borsa non a caso dopo tagli draconiani decisi dal Governo sui bilanci della "Rai". Cosa c’è dietro? Lo scopriremo presto e si vedrà se esista qualche operazione di mercanteggiamento. Mi limito ad osservare che i nodi vengono al pettine. Il sistema radiotelevisivo italiano resta un'anomalia nel mondo e troppi "apprendisti stregoni" si agitano attorno al corpaccione della "Rai", che pur tra mille difetti cerca ancora di agire come servizio pubblico, che in una democrazia debole come quella italiana, dove persistono tentazioni autoritarie, non è cosa di poco conto. Una riforma complessiva sarebbe necessaria, così come una nuova governance per la "Rai" più legata alle competenze e alle capacità e garanzia di quel decentramento ideativo e produttivo che garantisca i territori. Il "caso valdostano" ed il ruolo della "Rai" è un esempio significativo in questo senso. La mia impressione è che la fretta, anche questa volta, assieme a necessità del momento su accordi di tattica quotidiana, sortirà il rischio di fare male e ancora una volta nel nome di un riformismo che cela talvolta dei retroscena scarsamente nobili. C'è di conseguenza da ammirare l'abilità disinvolta e spregiudicata con cui, invece, si evocano con enfasi principi e valori, che vengono venduti ai cittadini con pillole appositamente indorate, mentre sono spesso solo delle medicine amare, la cui prescrizione è assai dubbia.