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17 feb 2015

Sanremo e i Social

di Luciano Caveri

Ho guardato il "Festival di Sanremo" in televisione e forse lo rifarò nei prossimi giorni. Non è un'ammissione di colpa, ma la constatazione che Sanremo non si può perdere, anzitutto perché ha il vantaggio, nel mese di febbraio, di dare un segnale all'inverno con le canzoni che ci accompagneranno in primavera e in estate. A vedere lo spettacolo televisivo, ad essere franchi, sembra che l'Italia sia sempre la stessa degli esordi: una rassicurante continuità nel nome della melodia. Ma dietro a questa apparenza si celano sempre delle novità a dispetto dei morti viventi. Per la mia infanzia, quando la televisione era in bianco e nero, e lo è stato molto di più che negli altri Paesi Occidentali per via di beghe politiche della scelta del sistema di trasmissione del colore fra i fautori del sistema "Pal" quello "Secam", Sanremo era ovviamente uno spettacolo che sfociava nel costume e si concretizzava anche - l'ho già annotato in passato - in quella piccola pubblicazione tascabile che serviva per cantare le canzoni sanremesi durante le gite scolastiche. Ho accumulato così un patrimonio orale per nulla disprezzabile, se fossi intonato.

La televisione è stata poi arricchita, negli anni della giovinezza, dall'evidente perfidia di farsi grasse risate con gli amici nel guardare il Festival. Ricordo vere e proprie zingarate con cibo e bevande per stare lì a sparare scemenze su presentatori e cantanti. Mai all'epoca avrei pensato che un giorno, nel 1995, mi sarei trovato a cantare, con colleghi parlamentari, sul palco del teatro "Ariston" (che poi è uno scassato cinema di provincia), come ho già raccontato tante volte e fare parte, per pochi minuti, di quella strana compagnia di giro che è il Festival. Ma quel che trovo di divertente sta nel fatto che questo non prendere sul serio il Festival è diventata ormai la chiave di lettura per larga parte dei telespettatori, che passano il tempo non solo a vedere e commentare con chi guarda assieme a lui, ma ormai esiste la praterie sconfinata del cazzeggio sui "social". Si tratta in sostanza di una versione più sofisticata e diffusa dei commenti scherzosi e domestici di un tempo e della naturale coda che una volta vedeva la sua massima espressione nei commenti da bar. Questo è un modo diverso di seguire Sanremo - ed in genere la programmazione televisiva di grande richiamo - perché consente in sostanza di avere una ascolto passivo del medium televisivo, che diventa attivo nel momento in cui si diffondono commenti attraverso la Rete, che è un altro medium multidisciplinare. Tutto ciò tra l'altro, almeno per chi come me segue "Twitter", avviene in un incalzante raffica di opinioni (alcuni hanno esagerato e sono stati bloccati come se fossero "spam"), che oltretutto uno si costruisce à la carte attraverso la propria rete di conoscenze, che sono già una decisione personale che crea una sorta di platea o assemblea con cui condividere notizie e argomenti. Scrive su questo - ovviamente con un "Tweet" - il grande giornalista Vittorio Zucconi: «Uragano di tweet su Sanremo per dire che fa schifo. Una nazione di ipocriti masochisti ignora la legge del "parlatene male, ma parlatene"». Esempio mirabile di come ci si possa esprimere nella brevità di un messaggio ingabbiato nei soli 140 caratteri. Ma penso che l’interpretazione non sia giusta. Anzi trovo assolutamente che faccia parte della normalità aggiungere commenti scherzosi a quanto, penso per scelta, ha già caratteristiche piuttosto grottesche. Del genere nella prima serata: Al Bano e Romina Power che tornano assieme sul palco con tanto di bacino e vuol dire andarsele a cercare, cantanti ormai spompati che non beccano una nota dal vivo, vestiti indossati per essere massacrati come il lungo rosso fuoco (ieri era in nero con trasparenza) della povera Arisa che dalla parte della matassa del passato ora recita la parte dell'improbabile vamp, per non dire degli sguardi disperati dei presentatori al gobbo elettronico per dire due parole. Potrei continuare all'infinito, senza alcuna cattiveria ma con il divertissement, che in fondo diventa strumentale per gli ascolti di Sanremo. Altrimenti chi vedrebbe cinque giorni di serate in televisione su di un canovaccio di questo genere? Quindi l'interazione fra televisione ed Internet salva anche quanto forse ormai è diventato anacronismo, ma vive ancora della luce riflessa di chi in fondo si diverte nelle sue "comunità" a celebrare un rito collettivo e pacifico. Circostanza che, di questi tempi, non fa proprio male, pensando che a mille chilometri da noi, in Ucraina, si stanno massacrando. E da noi il "sono solo canzonette" (Edoardo Bennato) almeno ci consente di sorridere per un momento.