Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
11 feb 2015

Non toccate i quattro mori

di Luciano Caveri

Mi piace molto la Sardegna. Il primo è un motivo paesistico, perché trovo che raramente in una stessa terra ci siano posti straordinariamente diversi, specie se si vuole uscire da certi stereotipi turistici. In quella duplicità fra mare e montagna si gioca una partita significativa, ritrovabile spesso - penso alla Grecia - nell'identità isolana. Il secondo è un motivo culturale: i sardi, che pure hanno una avuto una diaspora in tutti i Continenti, sono fieri della loro cultura e coltivano nella tradizione il loro modo di essere. Poi c'è un aspetto politico: la Sardegna è un'Autonomia speciale, con alcune affinità con la Valle d'Aosta sia nel testo dello Statuto, ma anche alle radici dell'autonomismo con quel sardismo che è stato importante.

Pensiamo poi alla circostanza che un grande sardista, Emilio Lussu, è stato relatore dello Statuto valdostano alla Costituente. Poi ci sono stati rapporti, non sempre facili per via delle incomprensione sui criteri di rotazione al Parlamento europeo, fra Union Valdôtaine e Partito Sardo d'Azione. Spesso sono andato nell'isola per iniziative politiche, apprezzando anche la grinta e la forza del popolo sardo, con il limite di una certa litigiosità che affievolisce le loro azioni. Ho frequentato i sardisti in Parlamento e ricordo il loro acume e la loro bonomia fuori da certe immagini stereotipate del sardo silente. Ho l'onore anche di aver difeso la lingua sarda nella discussione sulla vigente legge in favore delle minoranze linguistiche storiche. Per questo e per il valore che deve essere dato alle bandiere regionali (che proprio il sardo Francesco Cossiga, fierissimo delle sue origini, ha voluto esporre al Quirinale) ho seguito la polemica sviluppatasi in Sardegna per le dichiarazioni dello scultore sardo Pinuccio Sciola, che in una lettera aperta al Capo dello Stato chiede - riferendosi anche alle teste mozzate dagli estremisti islamici - di levare dalla bandiera della Sardegna i quattro mori che rappresenterebbero - secondo una versione storica assai diffusa - le teste mozzate di quattro saraceni sconfitti dagli aragonesi durante la battaglia di Alcoraz in Spagna. Tesi che, nelle incendiare discussioni isolane (al congresso del Partito Sardo d'Azione vidi volare sedie nella stanza in un momento al calor bianco) ha creato il finimondo ed è facile capire il perché. Il sardista Mario Melis, che fu presidente della Sardegna, parlamentare in Italia e in Europa, quando doveva rafforzare la sua già robusta dialettica cavava - io lo vidi una volta a Bruxelles - una piccola bandiera coi quattro mori da mostrare alla sala ed era un tripudio assicurato. Spinto da curiosità e anche dal ricordo che uno stesso moro bendato c'è nella bandiera della vicina Corsica (anche con gli autonomisti corsi ho avuto molti trascorsi) e ricordato che i quattro mori convissero anche con lo stemma sabaudo comune anche ai valdostani, ho visto che in realtà sulle origini della bandiera le discussioni sono tante e non univoche. C'è chi evoca persino la leggenda dei Templari e lo stemma del Gran Maestro dell'Ordine, Hugo de Payns e chi scava di più nelle origini aragonesi, prima cioè che i mori venissero importati in Sardegna. Ma al di là di questo - leggete quanto c'è sui siti e scoprirete storie appassionanti ma poche certezze - quel che conta è l'irragionevolezza della proposta dello scultore Sciola, degna davvero di miglior causa. Di questo passo persino il simbolo del cristianesimo, la terribile croce del martirio di Gesù, dovrebbe subire - ovvio che lo scriva provocatoriamente - una sorta di revisionismo storico per mondarla del suo terribile significato e dell'uso che della crocefissione è stato fatto in altri contesti - pensiamo agli armeni - con lo stesso contenuto di orrore. Oppure il tricolore francese può essere associata a quella coccarda bianco, rossa e blu adoperata nei primi anni della Rivoluzione francese e dunque, per assurdo, associata non solo ai valori rivoluzionari, ma pure alle aberrazioni come l'uso esteso della ghigliottina taglia teste. Lo stesso leone rampante della Valle d'Aosta, simbolo ufficiale, è un'eredità delle crociate, dunque passibile di un ripensamento critico... Insomma, questa è una materia da manovrare con circospezione e buonsenso. Certe "sparate" finiscono in fondo per risultare inutili. Per le Nazioni senza Stato, cui molti sardi ritengono di appartenere, ci sono ben altre priorità.