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03 feb 2015

Mattarella alle Fosse Ardeatine

di Luciano Caveri

Trovo che il messaggio dato dal nuovo Presidente, Sergio Matterella, di scegliere le "Fosse Ardeatine" come primo luogo per una visita ancora "ufficiosa", dopo il voto del Parlamento e dei delegati regionali, abbia un grande significato politico. Specie perché, a differenza del suo predecessore, Giorgio Napolitano, il nuovo Capo dello Stato, essendo nato nel 1941, non può avere personale ricordo di quelle tragiche vicende che insanguinarono l’Italia alla fine della Seconda Guerra mondiale. L'enciclopedia dell'Olocausto, edita anche in una parte in italiano con sede all'"United States Holcaust Memorial Museum" a Washington , racconta in termini molto neutri gli avvenimenti delle Fosse Ardeatine: "Il 23 Marzo 1944 - giorno del 25° anniversario della fondazione del Partito Fascista di Mussolini - diciassette partigiani dei Gruppi d'Azione Patriottica (GAP) guidati da Rosario Bentivegna fecero esplodere un ordigno in via Rasella, a Roma, proprio mentre passava una colonna di militari tedeschi. I partigiani, che erano legati al movimento clandestino comunista italiano, riuscirono poi ad evitare la cattura disperdendosi tra la folla che si era radunata sul luogo dell’'attentato".

"L'unità militare che era stata presa di mira - un battaglione appartenente all'Undicesima Compagnia, il Reggimento di Polizia Bozen - era composto per la maggior parte da militari di lingua tedesca provenienti dalla zona del Sud Tirolo, precedentemente appartenuta all'Austria, poi annessa all'Italia con il trattato di St.-Germain nel 1919 e infine passata sotto il controllo della Germania quando i Tedeschi avevano occupato l'Italia, nel 1943. Nell'attentato ventotto soldati morirono immediatamente; altri cinque nei giorni seguenti. Il bilancio finale fu poi di 42 militari uccisi e di alcuni feriti tra i civili presenti al momento dell'attentato". Questa la prima parte, che già negli anni è stata oggetto di feroci polemiche di chi segnalò con intento denigratore l'azione dei partigiani, accusandoli in sostanza di leggerezza in quella loro azione. Un paravento, in sostanza, dietro al quale si è nascosta una parte di destra neofascista nel "tamtam" che mirava già preliminarmente a giustificare le successive azioni dei nazisti. Ma gli eventi non lasciano dubbi, così come lucidamente esposti: "La sera del 23 marzo, il comandante della Polizia e dei servizi di sicurezza tedeschi a Roma, tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Mälzer, proposero che l’azione di rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni poliziotto ucciso nell'azione partigiana, e suggerirono inoltre che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni gestite dai servizi di sicurezza e dai servizi segreti. Il Colonnello Generale Eberhard von Mackensen, comandante della Quattordicesima Armata - la cui giurisdizione comprendeva anche Roma - approvò la proposta. Si racconta che quando ad Adolf Hitler venne comunicata la notizia dell'uccisione dei militari, quella sera, egli reagì ordinando la distruzione totale di Roma. Successivamente, gli imputati accusati del massacro, dopo la guerra, testimoniarono come Hitler avesse perlomeno espresso parere pienamente favorevole al piano di Kappler e Mälzer. Tuttavia, altre prove storiche portano a pensare che Hitler abbia perso presto interesse per tutta la questione, lasciando la decisione finale al Colonnello Generale Alfred Jodl, in quel momento Comandante del personale operativo degli alti comandi delle Forze Armate (Oberkommando der Wehrmacht, o "Okw"). Qualunque fosse il livello di coinvolgimento da parte di Hitler, il Maresciallo Albert Kesselring, comandante in Capo dell'Esercito schierato a Sud, presumibilmente interpretò la reazione iniziale di Hitler come segno del suo appoggio e della sua autorizzazione alla rappresaglia proposta subito dopo l'attentato". Poi il racconto nelle parti più drammatiche: "Il giorno seguente, 24 marzo 1944, militari della Polizia di sicurezza e della SD in servizio a Roma, al comando del Capitano delle SS Erich Priebke e del Capitano delle SS Karl Hass, radunarono 335 civili italiani, tutti uomini, nei pressi di una serie di grotte artificiali alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Le "Fosse Ardeatine", che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane, vennero scelte per poter eseguire la rappresaglia in segreto e per occultare i cadaveri delle vittime. Priebke ed Hass avevano ricevuto l'ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri che erano già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri in quella categoria non arrivava ai 330 necessari alla rappresaglia. Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di sicurezza selezionarono altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto. I tedeschi aggiunsero al gruppo già selezionato per il massacro anche 57 prigionieri ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di "Regina Cœli". Per raggiungere la quota necessaria, essi rastrellarono anche alcuni civili che passavano per caso nelle vie di Roma. Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva poco più di settant'anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all'interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece che le 330 previste dall'ordine di rappresaglia. Le SS però decisero che rilasciare quei cinque prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell'azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri. I prigionieri selezionati furono condotti all'interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell'esecuzione, Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; invece, agli agenti incaricati dell'eccidio venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di spararle da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. Gli ufficiali della polizia tedesca portarono quindi i prigionieri all'interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, uccidendoli poi uno a uno con un colpo alla nuca. Mentre il massacro continuava, i militari tedeschi cominciarono a obbligare le vittime a inginocchiarsi sopra i cadaveri di quelli che erano già stati uccisi per non sprecare spazio. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l'entrata delle fosse facendola saltare con l'esplosivo, uccidendo così chiunque fosse riuscito per caso a sopravvivere e seppellendo allo stesso tempo i cadaveri". Evito di ricordare i processi difficili del dopoguerra, che consentirono di avere almeno un pezzo di Giustizia. Ma quei fatti di enorme gravità e di inconsueta ferocia sono un ammonimento in un momento in cui in Italia e in Europa si riaccende la destra neofascista e pure neonazista. E dunque che il Presidente Mattarella sia partito di lì è un conforto.