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27 gen 2015

Auschwitz, 70 anni fa

di Luciano Caveri

Il "Giorno della Memoria", che evoca l'Olocausto, cade nel cuore dell'inverno per ricordare, come giorno simbolo, quando i russi liberarono il campo di sterminio di Auschwitz. Quest'anno la data è ancora più evocativa. Sono infatti passati ormai settant'anni da quel drammatico 1945, quando si chiuse la Seconda Guerra mondiale con la sua coda di tragedie. Ineluttabilmente scompaiono i testimoni di quei fatti, e non mi riferisco solo agli ebrei sopravvissuti al piano dello sterminio sistematico inventato dal nazismo (con la successiva complicità del fascismo), ma a tutti quelli che, protagonisti e testimoni, comparteciparono a quella grande tragedia collettiva che insanguinò il mondo.

Ognuno di noi digerisce quegli avvenimenti con la chiave di lettura della propria personale sensibilità. A me, che ho più volte visitato più volte Auschwitz, evoca le immagini e le emozioni che ho provato ogni volta che sono arrivato in questo campo nella campagna polacca, quasi sempre sotto la neve. Avrete sentito parlare del "Genius loci" dei latini. Così lo descrive la voce della "Treccani": "Spirito, buono o cattivo, che nella mitologia pagana presiedeva al destino degli uomini, e anche lo spirito che aveva sotto la sua protezione una città, un popolo, una nazione". Noi adoperiamo la locuzione in modo diverso, quando vogliamo definire come ci sia un impasto di caratteristiche, direi "il carattere", che danno una certa identità a un luogo e a chi vi abita. Cosa c'è in un campo di sterminio? Penso che ci sia tutto nell'aria, senza dare a questa spiegazione chissà quale significato esoterico. Ma quei luoghi parlano del Male e di come l'uomo sappia essere feroce con i propri simili. E con una sistematicità che sconvolge: un piano per uccidere un popolo e i "diversi". E quei luoghi parlano del Dolore, che sia fisico o morale poco importa. Perché lo sterminio era basato su un impasto di crudeltà e paura, fatto di follie come le sperimentazioni pseudomediche o la tortura quotidiana con la cattiveria come impulso per far soffrire. Ma esistono anche "geni buoni" che aleggiano. Dagli oggetti lasciati dagli internati (giocattoli di bambini, valigie, pettini) alle camerate, dai binari dei treni della morte alle celle di reclusione, dai muri dove si sparava ai prigionieri ai carretti con cui si portavano ai forni le persone gassate. Come se oggetti si facessero parlanti e portassero nel vento le voci di chi è stato lì proprio per il celebre monito di "non dimenticare". Il Bene e il Male si fronteggiano e servono per chi voglia ricavare da quei luoghi una visione della Storia che sia fatta, proprio per i troppi fantasmi e orrori che aleggiano, di speranza che quanto è avvenuto serva a qualcosa. Ad indicare una rotta, ad evitare che certi fatti si ripetano, a fondare quella fratellanza che lì sembra una bestemmia, a dire ai nostri figli che quanto è avvenuto deve essere sempre nella loro mente.