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25 dic 2014

Strano clima nella politica italiana

di Luciano Caveri

Chissà cosa porterà il 2015 alla politica italiana. Di certo l'elezione di un nuovo Presidente della Repubblica, ma per il resto penso che il quadro sia abbastanza in movimento, perché il renzismo - all'apice del successo - mostra volti poco rassicuranti non solo per la scricchiolante politica del fare tanto proclamata, ma anche per l'allontanamento costante rispetto ad elementari regole di diritto costituzionale. Nel tour mai visto prima, come numero di interviste radiotelevisive, Matteo Renzi sa sempre di dover "sparare alto" per tener viva l'immagine glamour di politico che vuole rompere gli schemi. La sua è stata in realtà un'abile carriera politica, con meccanismi ordinari e tradizionali, ma gioca ormai il ruolo - non facilissimo da mantenere - del politico antipolitico. La sua specialità è proprio quella di sfruttare l'"effetto annuncio", rinnovato all'infinito, ma non solo affermando la sua primazia in un rapporto diretto con l'elettorato, ma facendo intendere, che a parte i suoi fedelissimi del suo giro toscano, attorno c'è solo una "vecchia" politica da sradicare assieme a tutto quanto gli sta vicino. Lui da solo basta e avanza, dopo aver buttato tutto a mare, compreso il sistema delle autonomie locali che gli è palesemente antipatico, per affrontare in modo titanico qualunque cosa: una sorta di peronismo all'italiana, basato sulla dialettica fiorentina controcorrente e sui "Tweet" sprezzanti verso il nugolo di avversari che si crea per "cambiare verso". Una politica da rapper, che governa con ritmo sincopato, senza badare a regole di bon ton ed al protocollo istituzionale, come un Pierino La Peste, divertito anche nel cavalcare dileggio e sfottò. Così - solo per fare un caso - Renzi, alla vigilia del trentatreesimo voto di fiducia, ha maramaldeggiato ai microfoni di "Radio 105": «sono un numero che garantisco aumenteremo in futuro». Fa bene: il Parlamento abdica al suo ruolo di Legislatore e sta per rivotare una riforma costituzionale che renderà normale che le leggi passino dai decreti legge imposti dal Governo con un voto "prendere o lasciare". Già oggi dunque, con piena e partecipe consapevolezza del premier, si sta svuotando come non mai il regime parlamentare con un presidenzialismo di fatto e non di diritto. E lo si fa - con troppi silenzi complici - con l'uso del dileggio, come nel voto sul maxiemendamento della Legge di Stabilità. Renzi dice: «abbiamo bloccato l'assalto alla diligenza», riferendosi alle norme inserite dai parlamentari con propri emendamenti. Emendamenti passati in Commissione con il parere favorevole del Governo! Che poi li toglie per fare bella figura e svilire le Camere sprecone e inette. Un gioco al massacro per la democrazia e grasso che cola per l'antipolitica cavalcata dalla politica "furbetta". Che conta soprattutto sul solito ritornello del «lasciamo fare, perché tanto non esiste alternativa». Cambiali in bianco inaccettabili in una democrazia, specie quando nella "Legge di Stabilità" ci sono numerose "marchette" governative per gli amici degli amici e quei poteri forti che dovrebbero essere nemici e invece... Ecco perché il nuovo Capo dello Stato dovrà essere persona autorevole e libera. Per fare da contraltare a eccessi di potere e a logiche che scardinino non i rituali della "vecchia politica" ma norme di salvaguardia della cosa pubblica e meccanismi di garanzia. Altrimenti, senza freni, l'andazzo attuale rischia di prendere velocità e di far finire la dolente Italia contro un muro. Indro Montanelli, fiorentino come Renzi ammoniva: «In Italia a fare la dittatura non è tanto il dittatore, quanto la paura degli italiani e una certa smania di avere un padrone da servire. Lo diceva Mussolini: "Come si fa a non diventare padroni di un paese di servitori?"». Capisco che la parola è grossa e le tentazioni autoritarie forse distanti, ma è sempre bene pensarci per tempo.