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20 dic 2014

Le troppe violenze

di Luciano Caveri

Il matto che ha colpito in Australia vive attorno a noi. Non è stato, in quel caso, una pedina inserita in un sofisticato gioco di costruzioni terroristiche, e mi riferisco a quel filone islamico che farà passare un Natale di preoccupazione in tutte le grandi città dell'Occidente e che ha colpito, invece, ieri - con un'azione schifosa e da pusillanimi - in una scuola in Pakistan. Si sa, tornando a noi, che il clamore che è necessario per certa violenza è legato purtroppo a certi periodi di festa e il Natale resta la grande festa della Cristianità. Non mi stupisce che si legga sui giornali che Papa Francesco sia stato avvolto da una rete di protezione di grado elevato proprio per quella logica simbolica, pure di dialogo interreligioso, che si è trovato ad interpretare senza peli sulla lingua. Come quando ha chiesto agli esponenti di spicco dell'Islam di non avere atteggiamenti reticenti e lo ha fatto ad Istanbul, visitando con grande umiltà le moschee. Sono, come tutti, preoccupato da questa dose massiccia di violenza cieca che ci attornia. Non nascondo di aver già avuto in passato, se non la paura vera e propria almeno il timore. Ricordo gli "anni di piombo" in cui mi trovai a fare il giovane cronista di una radio a Torino e vivevi questa cappa, che creava in tutti un senso di viva insicurezza. Il culmine fu, molti anni dopo, il giorno delle Torri Gemelle, quand'ero al Parlamento europeo e restai nel mio ufficio, malgrado il fuggi fuggi nei corridoi perché si era sparsa la notizia falsa che anche quello potesse essere uno degli obiettivi dei terroristi. Stessa preoccupazione che ho avuto negli aeroporti in tante occasioni o mentre giravo in grandi città, come Parigi o Londra, in periodi in cui scoppiavano bombe su treni o metro. Oggi viaggio meno, ma quando mi capita mi accorgo di guardarmi attorno senza la serenità che uno dovrebbe avere. Per altro, la cronaca nera quotidiana dimostra quanto il grado di violenza prescinda purtroppo dalle grandi questioni internazionali e sia penetrata nel tessuto connettivo della nostra società, anche laddove un tempo le cose erano molto più tranquille. Esiste ormai, anche in una piccola realtà come la Valle d'Aosta, una persistente microcriminalità, fatta di furti e rapine, che sarà pur cosa minore rispetto a realtà urbane dove la criminalità picchia duro. Ma non è neppure bene che ci si debba dotare di antifurto e telecamere perché rubare nelle case è ormai fatto ordinario o che in discoteche e palchetti ci siano specialisti di risse, che fanno rimpiangere i "badola" di paese che si limitavano un tempo a qualche scazzottata. Oggi bisogna aver paura anche di uno scambio di epiteti in auto, se uno ti taglia la strada. Mi sono convinto che la certezza della pena è l'unico antidoto per chi non ha più alcun senso civico o di civile convivenza e conosce solo la Legge e le sue sanzioni. Il moltiplicarsi di morti di bambini, di donne, gli stupri collettivi e cose di questo genere stanno minando il bene prezioso della libertà, che consiste anche nella serenità di potersi muovere e di poter andare dove si vuole con chi si vuole. In più, in questo mondo alla rovescia, ci sono troppe patologie mentali che non sono curate. Come non pensare a quel tabaccaio valdostano, Enrico Rigollet, massacrato di botte nel suo esercizio commerciale a Torino, dopo un piccolo diverbio con un cliente, finito in fretta in tragedia. Nessun rimpianto per i vecchi manicomi, dove si viveva come nei peggiori gironi danteschi, ma non è neppure concepibile che le persone non si curino. Penso, per dire del disagio fra noi, alla raffica di suicidi di queste settimane in bassa Valle e a tante violenze che non sono frutto di vite criminali, ma appunto di problemi mentali seri. L'analisi è quella che è, ma non ho purtroppo ricette per risolvere le questioni né a grande scala né nella logica di vicinanza. Trovo, però, che non ci si debba rassegnare alla rassegnazione e che, partendo dal piccolo, si debba in qualche modo ricucire il tessuto connettivo di ogni comunità. Partendo dal basso, si ha qualche speranza in più di successo.