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12 dic 2014

I cerchi attorno a noi

di Luciano Caveri

La premessa sarà pure un déjà vu ed è la constatazione che, quando capitano escursioni come quella che ho fatto nelle scorse ore per i mercatini di Natale ad Annecy in Alta Savoia, mi sento a casa mia e non solo - come qualcuno potrebbe credere - per una questione linguistica. Si tratta di cerchi concentrici che riguardano territori con cui si hanno diversi livelli di affinità. Nel caso di Annecy appartiene al primo cerchio, quello della comune e strettissima storia sabauda, ma pure di quella precedente, fatta di scambi millenari di prossimità. Lo stesso vale per i Cantoni Romandi della Svizzera: anche in quel caso la vicinanza e l'affinità secolari sono di facile constatazione. Poi, naturalmente, esistono cerchi che si allargano, come può essere l'appartenenza ad un area geografica più vasta ancora, che va da quella piemontese confinante (Valsesia, Biellese, Canavese) ad altre vallate alpine al di qua e al di là delle Alpi e sino al Mediterraneo. Esiste poi l'intero arco alpino con le sue affinità ed assonanze ed il rapporto consolidato con città, come può essere Torino o Chambéry. Questa è una dimensione molto europea, che rende moderna una logica antica: gli Stati nazionali mettono assieme nel loro territorio comunità assai diverse fra di loro e hanno "spezzato" comunità viciniore, facendo finta che certi legami culturali ed economici non fossero mai esistiti in favore - appunto - di una ragion di Stato. Si tratta di una specie di lobotomizzazione nel nome di un nazionalismo esclusivo che semplifica la Storia, nella costruzione identitaria artificiale che lo Stato Nazione ha forgiato. Intendiamoci: ogni formazione d'identità è fatta di miti e costruzioni astratte, per cui non mi stupisco affatto. A che il "valdostanismo" (o "valdostanità") ha una componente ci creazione culturale e politica. Ma il nazionalismo "grande" e giacobino ha una componente violenta ed aggressiva, che tende ad agire contro le preesistenti realtà nazionalitarie. Solo il federalismo consente di trovare forme unitarie rispettose di ogni componente. L'Unione europea, capro espiatorio ormai di tante cose, pur essendo una sommatoria di Stati, ha lavorato sulla caducità delle frontiere e dei confini. Le tragedie delle Guerre mondiali, prima con il lavoro del "Consiglio d'Europa" e poi con il quadro giuridico dell'Unione europea, hanno consentito di avere un antidoto potente nella cooperazione transfrontaliera, oggi nel gergo comunitaria diventata cooperazione territoriale. Ciò riguarda i vicini di casa ingiustamente allontanati da frontiere per loro artefatte, ma anche trovare disegni di affinità di non obbligatoriamente contigui. E' il caso - che so - delle città portuali, delle zone minerarie, delle minoranze linguistiche e gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Si tratta di una geometria variabile che ha come caposaldo l'idea per nulla semplice di dar vita ad una vera cittadinanza europea che si basi su legami forti e condivisi, ritessendo anche quella tela strappata - nel caso valdostano - fra Ottocento e Novecento con vicini di casa. Ciò vale ovviamente se, nel frattempo, azzeccagarbugli all'opera sulla Costituzione repubblicana non si infileranno in operazione maldestre e pericolose, come potrebbe essere l'improvviso o progressivo svuotamento dell'autonomia speciale della Valle d'Aosta. Sarebbe una scelta ridicola e anacronistica, perché entità territoriali senza un pezzo di sovranità sono come robot in mano ad altri.