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13 nov 2014

Ora, in Catalogna, un referendum ufficiale

di Luciano Caveri

Gli "Stati Nazione", a dispetto della brevità della loro storia rispetto all'avvicendarsi delle istituzioni politiche da quando l'umanità ha deciso di organizzarsi in comunità sempre più consapevoli, sono convinti di essere potenze eterne e invincibili. Le guerre mondiali sono state un esempio evidente della carica di violenza generata e oggi l'impotenza delle istituzioni democratiche, laddove gli Stati sono più accentrati, sono un ulteriore elemento. Per questo considero con favore il risultato del referendum in Catalogna, purtroppo privo di un valore costituzionale, ma dalle evidenti implicazioni politiche. La Spagna, nella logica deviata dello statalismo padrone, ha fatto bocciare il referendum ufficiale nel nome della legge e ritenuto illegittima anche la consultazione di ieri con due milioni di persone alle urne. Capisco che sui dati (ottanta per cento a favore dell'indipendenza) si può discutere: un conoscente mi ha scritto prima che ne scrivessi, con una specie di bonario ammonimento, sostenendo che, essendoci in Catalogna cinque milioni e mezzo di potenziali votanti ha vinto di fatto il "no". Posizione che rispetto, ma non condivido, perché partecipare ad un referendum non ufficiale - e anzi gravemente ostacolato da Madrid - non era per nulla banale. Per cui, conoscendo la storia e la cultura di quel popolo, sono spassionatamente con loro e penso che la loro indipendenza sia ormai, anche e proprio con l'esito di ieri, solo questione di tempo. Quando ci sarà il referendum "vero", vedremo se avrò o meno ragione. Spero che per giungere a questo pronunciamento ci sia buonsenso da parte del Governo spagnolo e la considerazione che l'autodeterminazione dei popoli non è un principio a corrente alternata, ma un caposaldo irrinunciabile del diritto internazionale. Che i diritti interni dei Paesi furbeggino sul punto offre il senso del degrado del diritto e della politica. E in Italia? Lo Stato Nazione, benché ridotto sul lastrico e con una politica "inciuciona" per propria sopravvivenza, mostra i muscoli alle Regioni, comprese quelle - come la Valle d'Aosta - dove una Regione autonoma coincide con un comunità politica maturata nei millenni. Quando lui, lo Stato Nazione, neppure esisteva. Immagino che da noi un referendum ufficiale come quello scozzese sia da considerarsi inimmaginabile da parte dello Stato e lo stesso varrebbe per un referendum alla catalana. Immagino che chi si facesse promotore di certe iniziative - non solo con effetti annuncio o con scene da folklore, ma con fatti politici e giuridici - finirebbe in fretta in galera e la reazione repressiva sarebbe espressione dei tempi. Se sta morendo il regionalismo ordinario e anche quello speciale, mentre gli Enti locali funzionano solo come emanazione di Roma, figurarsi guardare più in su della situazione attuale. Chiunque, come chi vi scrive, si dichiari con fierezza un federalista rischia di finire in fretta nella lista degli eversori. Eppure basterebbe un pochino di buonsenso nel Parlamento attuale, che asseconda un disegno di riforma costituzionale centralista del Governo Renzi in continuità con Berlusconi e Monti, mostrando che non è più solo un problema di schieramento, per capire che il rilancio del centralismo statalista è anacronistico e potenzialmente persino autoritario. Scriveva di questo federalismo interno il professor Lucio Levi, prematuramente scomparso sulle nevi valdostane tanti anni fa: "La crisi dello Stato nazionale si manifesta anche in una direzione opposta, che si esprime nei movimenti per l'autogoverno regionale e locale, cioè nella tendenza al superamento degli aspetti accentratori e autoritari dello Stato nazionale. Soprattutto nelle società industriali avanzate, coinvolte nella rivoluzione scientifica, la quale crea nuove forme di società e di economia, si stanno creando le condizioni per sviluppare una forma di organizzazione dello Stato pluralistica e decentrata e per rinnovare, in relazione ai problemi della società postindustriale, le strutture del federalismo classico. Rispetto ai cambiamenti, che ho illustrato sopra, la vecchia concezione del federalismo, intesa come teoria puramente istituzionale, si è rivelata del tutto inadeguata. Essa ha indubbiamente carattere riduttivo. In primo luogo, perché la conoscenza di uno Stato non è completa se non si prendono in considerazione le caratteristiche della società, che permettono di mantenere e di far funzionare le istituzioni politiche. E quindi, se lo Stato federale è una formazione politica dotata di proprie caratteristiche, che la distinguono dagli altri tipi di Stato, dobbiamo ipotizzare che abbiano qualche carattere federale i comportamenti di coloro che vivono in questo Stato". L'Italia di oggi sta facendo il contrario e questo accentuerà la crisi politica e non aiuterà a risolvere la crisi economica e finanziaria. I catalani sono dunque alleati naturali anche dei valdostani, oggi stretti alle corde da tagli finanziari e da attacchi a poteri e competenze regionali. E sono in tanti ad agitare lo spettro dell'abolizione della Regione autonoma. La miglior difesa è l'attacco, nel solco democratico del federalismo.