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11 nov 2014

Dallo spleen a Babbo Natale

di Luciano Caveri

Alla fine ci si attacca a quello che si può per sconfiggere quel lato depressivo che porta l'autunno. Usavo, di tanto in tanto, perché la trovo molto espressiva, quel termine inglese "spleen", che significa "atteggiamento sentimentale malinconico". Poi scopro che è un termine inglese, che arriva dal tedesco, ma ha radici neolatine nel francese antico con "esplen", che sarebbe la milza, che tradisce origini ancora più profonde nel greco antico. Un organo che, nella medicina antica, veniva accusato di produrre un "umor nero" (da cui viene, non a caso, quel termine "melanconia" che significa "vaga tristezza" sempre appunto dalla bile nera, che era uno dei quattro umori cardinali), cosa che piaceva moltissimo ai letterati romantici. Forse la prima volta che ho sentito la parola è in quel passaggio di Cesare Pavese, quando il fascismo lo spedì in confino a Brancaleone in Calabria, e lui usa "spleen" in mezzo a parole italiane, ma lo fa bene, visto che conosceva l'inglese in maniera tale che gli consentiva di essere un'ottimo traduttore di libri. Ecco il passaggio: "non si può niente che valga in questa incertezza di vita, se non assaporare in tutte le sue qualità e quantità più luride la noia, il tedio, la seccaggine, la sgonfia, lo spleen e il mal di pancia. Esercito il più squallido dei passatempi. Acchiappo le mosche, traduco dal greco, mi astengo dal guardare il mare, giro i campi, fumo, tengo lo zibaldone, rileggo la corrispondenza dalla patria, serbo un'inutile castità". Ma poi ricordi che "Spleen" è una raccolta di poesie del grande Charles Baudelaire e della sua celebre:

"Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle Sur l'esprit gémissant en proie aux longs ennuis, Et que de l'horizon embrassant tout le cercle Il nous verse un jour noir plus triste que les nuits; Quand la terre est changée en un cachot humide, Où l'Espérance, comme une chauve-souris, S'en va battant les murs de son aile timide Et se cognant la tête à des plafonds pourris; Quand la pluie étalant ses immenses traînées D'une vaste prison imite les barreaux, Et qu'un peuple muet d'infâmes araignées Vient tendre ses filets au fond de nos cerveaux, Des cloches tout à coup sautent avec furie Et lancent vers le ciel un affreux hurlement, Ainsi que des esprits errants et sans patrie Qui se mettent à geindre opiniâtrément.

  • Et de longs corbillards, sans tambours ni musique, Défilent lentement dans mon âme; l'Espoir, Vaincu, pleure, et l'Angoisse atroce, despotique, Sur mon crâne incliné plante son drapeau noir".

Credo che non ci sia nulla da aggiungere, se non che - critico come sono per la continua e persino ossessiva anticipazione del Natale, come raggio di sole nella cupezza stagionale con il vischio e la lucentezza della stella cometa e dell'albero - l'altro giorno mi sono molto divertito quando l'unico dei miei figli a credere ancora a Babbo Natale si è messo a scrivere - per quel che può non avendo ancora quattro anni... - la letterina a Babbo Natale. Sotto dettatura la sua mamma ha eseguito le "comande" con grande minuzia e preparato la busta con destinazione Polo Nord della missiva. E il piccolo Alexis ha scritto con attenzione la sua firma sulla lettera finale: il suo primo contratto con chi deve deve portargli i regali natalizi. Questa storiellina mi apre il cuore: altro che spleen!